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Modena C.R.: folk, lasciaci lavorare |
Ma cosa c'entra il folk punk dei Modena City Ramblers con le filastrocche di Fausto Amodei, con l'epica estroversa di Pietrangeli, con la milanesità da ringhiera di Ivan Della Mea, con le ballate s-ballate di Giovanna Marini? Ben poco, all'apparenza. Eppure, questi formidabili artisti modenesi, ben agganciati agli umori e ai linguaggi di un vastissimo pubblico giovane, hanno accettato volentieri di presentarsi sul palco che per due sere, a Roma, metterà in scena una impressionante antologia del canzoniere italiano. Canzoni di lotta, canzoni politiche, molte delle quali agganciate a quella fase della storia d'Italia in cui sembrava che l'alternativa -sociale, politica, umana fosse già nelle mani di milioni di bravi esseri umani. Anche i Modena possiedono un'epica, evocano eroi e vittime, carnefici e gente di buona volontà. Il tutto legato al presente, alle sue suggestioni e ai suoi prodotti più fetidi. I Modena vogliono stare con i piedi per terra e raccontano quel che vedono e quel che che vivono con una positività fisica molto emiliana. Basterà questa generica disponibilità al racconto per non sorprendersi quando, tra venerdì e sabato, saliranno sul palco prima di Amodei o dopo Della Mea? Cisco chiediamo ai diretti interessati in altre parole, chi ve l'ha fatto fare? A noi va così. Abbiamo bisogno di continuità, abbiamo bisogno di sentirci agganciati al passato. Ma facciamo in modo che questa affermazione non suoni male per i colleghi che saranno con noi in piazza dei Coronari. Loro non sono il passato, ma nel passato hanno trovato una chiave di comunicazione formidabile con più generazioni, una chiave che funziona ancora ma che per vari motivi non arriva più ai giovanissimi. Mi sembra che i Modena, con un lavoro paziente in larga misura istintivo abbiano invece questo filo nelle loro mani. Ecco. Vorremmo annodare questi segmenti di comunicazione. Abbiamo bisogno di radici, di averne coscienza. Lo abbiamo capito in Irlanda, avvicinandoci al folk irlandese e al modo in cui viene vissuto da una bella generazione di musicisti. In italia, le nostre radici sono nei canti di lotta, nei canti della Resistenza, in quelli del movimento degli anni '70, questo è il nostro serbatoio folk. E' un legame-rapporto, quindi, quasi parentale. Ma dove sta l'altro, la diversità e quindi la soggettività dei Modena? Ti racconto un pensiero elementare che appartiene al nostro percorso, è un pensiero degli inizi. Ascoltavamo la canzone politica, di impegno, ci piaceva ma la musica ci sembrava terribilmente indietro rispetto alle parole. I testi volavano, la musica frenava. Siamo intervenuti, anche in questo caso, d'istinto, affidando i testi dicano gli altri se sono buoni o meno a vibrazioni che sentivamo sgorgare dalla mente e dal cuore. Prendi Bella Ciao, così come la eseguiamo noi. Chi si intende un po' di musica ne intravede la filigrana: abbiamo preso un mostro sacro di testo e lo abbiamo caricato, così come ci veniva, su un riff scozzese con un motore che funziona ad energia punk. Il risultato è che tutti i ragazzi, anche i più giovani, la riconoscono, la cantano, la ballano. Bella ciao comunica se stessa, ha il sapore giusto. Abbiamo fatto la stessa cosa con altri mostri: Contessa, La locomotiva, Figli dell'officina. Il primo risultato, ci tengo a sottolinearlo, è che noi che eseguiamo questi brani ci divertiamo come pazzi e chi ci ascolta se ne accorge. Il secondo risultato è che riusciamo a comunicare senza essere dei teorici della comunicazione, senza essere didascalici e men che meno didattici. Molti vostri colleghi hanno uno stile di lavoro molto sacrale. Professano la contaminazione, partono per lunghi viaggi in terre lontane, ascoltano la magia dei vecchi corni da nebbia delle coste inglesi e se ne tornano purificati e pronti a produrre il santo incrocio. Altri, invece, si tuffano nel folk nosteano, e ci restano, anche in questo caso, sacralmente devoti ora alla pizzica, ora alle orazioni corali di qualche valle alpina. Voi a che santo vi dedicate? Togli a quel che sto per dire ogni enfasi: siamo, se vuoi, dei sacrileghi. Non abbiamo parrocchie, gli amanti del folk irlandese in Italia, per esempio, ci vedono come fumo negli occhi perché abbiamo fatto al sacro folk delle cose per loro innominabili. Siamo un gruppo folk e non ci siamo mai rapportati con il mondo del folk italiano. Il fatto è che i canoni ci vanno stretti, ci piace entrarci e uscirne a nostro piacimento garantendoci la massima naturalezza di contatto e di manipolazione. Questo ci dà la sensazione di aprire porte e finestre di una stanza che per tornare a vivere deve lasciarsi giocare, trasformare, diventare altro. Cosa farete sul palco di Piazza dei Coronari? Solo strumenti acustici, qualche sorpresa, qualche novità, qualche certezza, Contenti di stare lì, con Giovanna, Paolo, Gualtiero, Fausto e tutti gli altri. Intervista di Toni Jop L'UNITA' 23/09/2004 |
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