Japon per il festival di
Cannes fu un trionfo. La rivelazione di un geniale talento, il
regista messicano Carlos Reygadas nell'anno, il 2002, in cui la
Croisette celebrò anche l'estetica delirante di Apichtpong
Weeresethakul con l'esplosivo Blissfully yours, entrambi
sconosciuti, entrambi un colpo di fulmine. Sofisticato e brutale,
Japon viaggiava per ore tra cactus e montagne nel nord del
Messico lungo le oscillazioni sul suo inebetito protagonista. Un
film ipnotico nell'intensa relazione tra paesaggio e uomini, una
natura aspra e corpi inusuali al cinema (almeno per chi
non conosce la meravigliosa «premonizione» di
catastrofe che è stato Cinico tv di Ciprì e
Maresco, e Reygadas alla nostra domanda ci ha assicurato di non
averne mai sentito parlare) e alle regole della «bellezza».
Japon ebbe la Caméra d'or e consensi ovunque.
Reygadas se ne stupisce ancora oggi. A volte tutto questo
mi sembra esagerato. In fondo Japon era un film
d'esordio, sorride asciugandosi capelli e camicia zuppi di
pioggia. Terrazza sul mare grigio. Nella stanza accanto la sua
attrice, Anapola Mushkadiz, conversa con un gruppo di giornalisti
sfoggiando tatuaggi, piercing e dreadlocks. La notte la troveremo
scatenarsi con Asia Argento dj. Reygadas non nasce regista. È
prima avvocato, vive diverso tempo a Bruxelles dove lavora al
ministero della cooperazione, infine scopre la macchina da presa.
Japon lo gira aiutato dagli amici e con un budget
autofinanziato. Ma un gruppo fisso di lavoro è per lui più
che una cifra di stile.
Eppure è stato anche un
film maledetto Japon. L'anziana protagonista è
quasi morta per emorragia celebrale e l'attore, Alejandro
Ferretis, è stato assassinato l'anno scorso. Con questa
eredità il secondo film non era facile, chissà
se è per questo che si chiama Battaglia nel cielo.
Il set stavolta è la metropoli, ci sono diversi personaggi
ma il senso di deambulazione emozionale resta lo stesso. Come
l'idea di uno spazio che cattura e distilla il fuori campo. A
cominciare da Città del Messico dove, dice ancora
Reygadas, oggi ci sono oltre 20 milioni di abitanti. Negli anni
40 ce ne era uno. Sembra che la qualità della vita fosse
molto piacevole.
Le piace scegliere attori fuori
dalla norma. È una provocazione?
Ci sono molti
bei ragazzi e ragazze al mondo, in tv, sulle riviste, al cinema,
che trovo noioso mostrarli anche nei miei film. I miei attori
sono molto belli: Marcos Hernadez, sua moglie, gli altri, in
Messico ci sono molte più persone che somigliano a loro
che a una top model. Marcos aveva una piccola parte anche in
Japon. Lo conosco da sempre, lavorava per mio padre che è
funzionario al ministero della cultura, come autista e tuttofare,
come il suo personaggio. È un attore magnifico, ha un
senso di grande precisione e molta disinvoltura davanti alla
macchina da presa. Il suo è un talento naturale.
Anche
i corpi degli attori esprimono la società. La ragazza, il
suo fidanzato sono ricchi e con un fisico perfetto. I poveri sono
tutti grassi.
Il Messico è il secondo paese al
mondo colpito da obesità dopo gli Stati uniti. Dipende dal
cibo ma anche dal fatto che i messicani non amano fare sport. A
parte il calcio, pensano sia una cosa un po' stupida... Comunque
sì, l'aspetto fisico è legato alla cultura e alla
classe sociale. Ana è ricca e bellissima, inoltre doveva
essere assolutamente diversa da Marcos. E certo in Messico è
facile che una diciottenne ricca sia più bella di un
quarantenne proletario. Però Battaglia nel cielo
non è un film politico in senso tradizionale,
la battaglia è interiore e da qui si intuisce il contesto
sociale e economico. Non voglio un film chiuso, mi
interessa soprattutto che il pubblico costruisca la sua
visione.
Perché filma Marcos quasi a una
dimensione e in assoluta immobilità anche nelle scene di
sesso?
Una volta mi è capitato di sentire un
tizio lamentarsi perché l'uomo che aveva rapito era morto.
La cosa non gli avrebbe permesso di trovare i soldi che gli
servivano per coprire dei debiti. Il senso di colpa non è
più presente in un società costretta alla violenza
come quella messicana, la gente vive nel dolore e in continua
tensione. All'aggressione della metropoli che è anche il
linguaggio del film, ho contrapposto l'immobilità di
Marcos. Volevo mostrare un uomo che all'improvviso si scopre
colpevole in mezzo a milioni di non colpevoli. Un uomo che vive
un momento difficile, che ha un grosso problema e si assume la
responsabilità di tutto. Il resto va per intuizione, non
provo a spiegare ogni scelta. Le cose sono lì perché
mi piacciono e perché sento che funzionano. Così la
scena iniziale del pompino, per me è un sogno, riguarda
l'inconscio e nel movimento alternato della macchina tra un uomo
e una donna c'è il genere umano. Sul viso della donna
passano il desiderio, il mistero, non è questione di
comunicazione. Ho scritto la sceneggiatura in diciotto giorni.
Per me il lavoro fondamentale è lo storyboard, un mese in
cui si determinano il casting, i luoghi... Sapevo anche che il
finale sarebbe stato il pellegrinaggio alla vergine di
Guadalupe.
È un altro elemento che racconta il
Messico?
Non penso a Battaglia nel cielo come a
un film sul Messico, è una storia universale. Poi si
svolge in Messico e le cose hanno sempre un contesto. La
religione nel nostro paese ha un aspetto mistico, c'è una
fusione tra i luoghi e le persone. E fa parte della vita, io ne
sono distante ma non posso ignorarlo.
Il sesso è
comunque una componente fondamentale.
Ha un valore
sociale oltre che erotico, non si tratta di pornografia. Non ho
mai pensato di iniziare il film con un pompino per scandalizzare.
Ogni istante di quella scena che torna nell'ultima immagine è
filmato come un atto d'amore o un'immagine religiosa, la ragazza
succhia il pene dell'uomo e piange. Lui resta immobile. È
tristezza o è piacere? Non lo sappiano, la sola cosa certa
è che la comunicazione tra i due è impossibile.
Penso che lo spettatore sia più intelligente e comprenda
il mistero che c'è in quelle scene senza pensare allo
scandalo. Non volevo censurarmi, Battaglia nel cielo è
girato come lo sentivo. Mi piacciono tutti i miei attori, mi
piace quando Marcos e sua moglie fanno l'amore, anche qui non
vuole affatto essere uno shock. Volevo che nel film ci fosse una
sessualità fisica, che fosse emozione e non solo abitudine
cinematografica di attori perfetti. Il corpo mi interessa
plasticamente, ho scelto la donna che interpreta la moglie di
Marcos perché mi sembrava stupenda col suo viso di pietra
e quel corpo enorme, quasi mostruoso ma con una sua fortissima
umanità. Il corpo per me esprime un pensiero, è
comunicazione e conoscenza.
Intervista di Cristina Piccino
IL MANIFESTO 22/05/2005
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