Se
aveva ragione Dante a schiaffare all'Inferno quelli che non
prendono posizione, Vincenzo Salemme andrà sicuramente in
Paradiso. Il senso del suo nuovo film "Cose da pazzi",
è infatti inequivocabile: Non si può
vivere senza valori, non si può vivere senza un sogno, non
insegnerò mai a mio figlio che i politici sono tutti
uguali, che è inutile andare a votare perché rubano
tutti. Non è così.
L'attore-regista-commediografo
napoletano da sempre coltiva il gusto di far sbellicare la gente
dalle risate - prima nei teatri e poi nei cinema - creando storie
paradossali ma buttando sul tavolo temi forti, come per esempio
la malattia o l'identità sessuale, in "L'amico del
cuore" o "Amore a prima vista".
In
"Cose da pazzi", su 150 schermi da venerdì,
racconta dell'integerrimo impiegato dell'Inps, coniugato con
prole e sorella invadente aggiunta, che comincia a ricevere
inspiegabili e stratosferiche somme di denaro che non ha il
coraggio né di restituire né di spendere. Finché
scopre che a mandargliele è un tizio al quale, tredici
anni prima, aveva negato la pensione, richiesta in qualità
di "invalido morale", poiché rimasto privo di
ideali dopo il crollo del muro di Berlino.
Senza
quella pensione, Felice C., ha dovuto adattarsi ad un mondo senza
i valori che gli erano cari, ha messo da parte ogni scrupolo ed è
diventato ricco. E vuole che l'impiegatuccio si prenda la
responsabilità di essere un vero complice e accetti la
metà del bottino.
Sarebbe
un vero delitto svelare i colpi di scena di questa commedia
interpretata da Maurizio Casagrande e Teresa Del Vecchio,
entrambi in pianta stabile nella compagnia teatrale di Salemme,
più Biagio Izzo, Lidia Vitale, Federica Sbrenna, Domenico
Aria e il grandissimo Carlo Croccolo. Del resto il finale non è
un segreto, avendo girato i teatri d'Italia per due stagioni, con
un incasso record di 6 miliardi di vecchie lire.
Salemme,
ma come le è venuta l'idea dell'invalido morale per morte
del comunismo?
La
prima stesura risale al 1989, l'anno della svolta della Bolognina
in cui fu decretata la morte del Pci. Seppi che due coniugi si
erano separati perché in disaccordo su tale decisione e
cominciai a chiedermi quanto la politica può influenzare
il privato. Nel '92 scrissi e portai in teatro "Lo strano
caso di Felice C.", che ripresi nel 2002, perché
se il comunismo era diventato un lontano ricordo, la voglia di
giustizia e di una più equa distribuzione delle ricchezze
erano più attuali che mai. Vittorio Cecchi Gori, lo scorso
anno, me la chiese per il cinema e io la riadattai insieme a
Piero De Bernardi.
Un
bel salto mortale parlare di comunismo nel bel mezzo di una
farsa.
A
teatro si può fare e dalla risposta del pubblico per che
ci sia voglia di temi non disimpegnati. Il problema, poi, non è
il comunismo, ma perdere il sogno, qualunque esso sia stato. Io
parlo del disagio di chi ne rimane privo, lo faccio da sinistra
perché da lì vengo. In Italia siamo troppo manichei
e troppo superficiali, ci dividiamo su questioni come quelle
proposte dal referendum sulla fecondazione assistita riducendo un
tema così importante a faccenda di destra o di sinistra.
A
proposito di voto, questo film esce a ridosso delle elezioni
regionali. Ha paura di essere frainteso?
Mi
dispiacerebbe una lettura politica contingente, perché
parlo di caduta di valori, lancio un richiamo etico, qualcosa di
più ampio degli schieramenti partitici. E poi, alla fine,
è una commedia da ridere.
Intervista
di Maricla Tagliaferri IL SECOLO XIX 22/03/2005
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