Sandokan, la tigre di Allah |
In letteratura, le parole giungla e mare sono sinonimo di Emilio Salgari, l'inventore del romanzo italiano d'avventura e, aggiungeremmo, di viaggio. Ovviamente non intendiamo il viaggio in senso stretto, agito fisicamente, ma qualcosa di impegnativo per lo scrittore e di commovente, di coinvolgente, per il lettore: il viaggio dell'immaginazione. Dopo un secolo di letture salgariane ci siamo finalmente lasciati alle spalle vecchi interrogativi e perplessità e ci possiamo permettere di godere appieno del fascino della cultura enciclopedica dell'autore, dei piacere dei sensi e di un diffuso senso del dramma e del pericolo; possiamo apprezzare insomma questa straordinaria celebrazione del Diverso e dell' Esotico, immedesimandoci completamente nell'Altro e nell'Altrove [...] Fra il 1883 e il 1911 Salgari pubblicò ottantuno romanzi d'avventura. I luoghi descritti comprendono quasi tutto il globo, ad eccezione dell'Europa: lo scrittore infatti evoca con vivezza e intensità le calotte polari e le zone equatoriali, l'Occidente e l'Oriente, la terra e l'oceano, mentre fa rivivere il Seicento nei Caraibi, il Cinquecento a Cipro, la fine dell'Ottocento nelle Filippine e nel Far West e gli antichi fasti di Cartagine e dell'Egitto. [...] Nel romanzo Le tigri di Mompracem, gli inglesi residenti a Labuan sono fittizi, inventati sa Salgari anche se ricalcati su tipologie autentiche, e rappresentano un modo di vivere spartano di una società che non esiste più. Il capo dei pirati, invece, l'invincibile Sandokan, estremo sia nei sentimenti che nelle azioni, forte ma allo stesso tempo vulnerabile, potrebbe sembrare il frutto di un'invenzione puramente letteraria desunta dalla mitologia dell'eroe romantico, byroniano, cui l'autore ha aggiunto uno stravagante tocco fin de siècle. Certamente siamo di fronte a un protagonista dai tratti più poetici (e atemporali) che storici, una specie di incarnazione del concetto europeo di un colosso passionale, esotico, orientale. Tuttavia quell'Oriente che egli rappresentano non è estremo ma medio, o tuttal'più un Oriente generico con forti tinte islamiche e arabe. (L'Islam infatti è una tra le più importanti religioni del Borneo, ma il suo significato qui è più culturale che religioso e molte caratteristiche del romanzo fanno piuttosto pensare all'India, alla Persia e alla Turchia). La storia di Sandokan è quella di un sultano spodestato dagli inglesi, che avevano sterminato tutta la sua famiglia. E' lo stesso protagonista a informarci che non è di origine malese come la maggioranza dei nobili del Brunei. Il concetto di principe-pirata, che può sembrare inverosimile e fiabesco a un pubblico europeo, è invece storicamente credibile: mentre la gente comune subiva la pirateria, spesso i nobili malesi e musulmani si arricchivano grazie ad essa e al traffico degli schiavi anche se non li praticavano direttamente. Ma allora Sandokan, che era musulmano e nobile ma non malese e che non commerciava in schiavi, circondato dai suoi tappeti persiani, dal divano turco, le perle di Ceylon, la scimitarra e le carabine indiane rabescate, è forse una pura invenzione orientalista? In parte sì, ed è anche importante che il personaggio di questo titano non sia limitato dallo storicismo: in questo modo si trasforma immediatamente in un'icona islamico orientale dall'aura indiana-persiana-araba e, data la mistura di particolari, in un'immagine archetipa e universale. Nonostante il suo nome lo colleghi al Borneo (il porto di Sandokan si apre su una bellissima baia della costa nord-orientale dell'isola e, all'epoca della Tigre della Malesia, era diventato il capoluogo del British North Borneo), la prima descrizione fisica di Sandokan è quella di un eroe che appartiene già al mito: turbante, capelli lunghi, barba e velluti non sono i tipici attributi di un pirata o di un abitante del Borneo. Come Sandokan, gli indigeni si cambiavano d'abito quando partivano per la guerra, ma i capi dayachi non portavano un turbante bensì un berretto impreziosito da vistose piume di uccelli della giungla, buceri e fagiani argo. Inoltre, il colore della giacca che spesso si indossava in battaglia era davvero il rosso: l'autore coglie dunque l'importanza storica di questo colore, e in più lo carica di un valore letterario e simbolico. Anche la larga fascia (di seta rossa) stretta alla vita di Sandokan è autentica; per i pirati e per i nobili del Brunei infatti le fasce in vita servivano a contenere una selezione di armi, come la scimitarra e i famosi kriss del nostro eroe. [...] Sappiamo che negli anni Quaranta dell'Ottocento il covo di pirati storicamente più noto e temuto era nella Baia di Marudu (o Malludu) all'estremo nord del Borneo; qui si riunivano famose orde di pirati Illanun: uomini alti, belli e eleganti. Il loro terribile e conosciutissimo capo, giunto da qualche tempo dal Brunei per stabilirsi con loro, era un avventuriero. Serip (o Sharif) Usman o Osman non era però un Illanun: era islamico e mezzo arabo. Secondo Tarling (1971), studioso della pirateria in Asia, questo personaggio aveva influenza sui balanini e sui pirati di Tempasuk e, prima della colonizzazione, deteneva il controllo effettivo di Labuan. Usava uno stendardo rosso su cui era disegnata una tigre (anche se nel Borneo non esistevano tigri) e indossava il turbante. Ecco il modello per Sandokan: un personaggio non dayaco né malese, dall'aspetto quasi arabo. La Tigre di Sandokan ha la stessa bandiera di Osman e governa le sue centinaia di pirati, guerrieri senza paura ed esperti navigatori non da Marudu ma da Mompracem, luogo altrettanto appartato e nascosto. Negli anni 1849 e 1850, epoca in cui è ambientato questo racconto salgariano, il pirata Osman però non combatteva più perché era già morto. Era stato alleato di Usop, grande nemico del Rajah Muda Hassim, in seguito Sultano Muda del Brunei, amico e protettore di James Brooke. Osman e Usop avevano entrambi giurato di porre fine all'influenza britannica nel Borneo e Osman aveva addirittura giurato pubblicamente di uccidere il Rajah Brooke: l'odio che nutriva per il suo nemico non aveva nulla da invidiare a quello di Sandokan [...] Il ritratto che Salgari fa di Sandokan rende più complesso lo stereotipo dell'eroe avventuroso dai poteri fisici e psichici superiori alla norma. Nella prima pagina, mentre aspetta che Yanez si salvi da un mare in tempesta, Sandokan l'eroe soffre, in preda alla paura. Più tardi, la sua indole eccessiva lo potrebbe a compiere azioni folli e pericolose, e deve essere trattenuto dal buon senso di Yanez (che però in questo romanzo non è ancora diventato l'alter ego di Salgari). Sandokan passa rapidamente dall'estrema tristezza al più grande entusiasmo. Questi tratti maniaco-depressivi sono del tutto funzionali al suo eroismo. E' un eroe imperfetto e per questo tanto più affascinante. L'aspetto più toccante però, che rende ancora più insolito questo romanzo, risiede nei pensieri privati di Sandokan. Più volte l'inquieto pirata s'interroga sulla moralità delle sue stesse intenzioni, chiedendosi se sono abbastanza prudenti e giustificabili. Questi lunghi intervalli introspettivi non solo alzano il tono del romanzo, ma ne accentuano le sfumature soggettive. Soprattutto, approfondiscono la trama avventurosa e alla fine la trasformano quasi in un romanzo psicologico. [...] Nel conflitto tra Uomo e Natura, nei nostri romanzi di giungla e di mare troviamo una natura domata degli uomini, in senso sia letterale che metaforico, esemplificata da ruolo delle tigri. Salgari era affascinato da tutti i felini, ma le tigri diventarono presto un emblema di bellezza, intelligenza, forza ed esotismo. Il loro ruolo in questi tre romanzi dà prova di quella versatilità e di quell'enciclopedismo che rendono indelebile la sua impronta di scrittore. La presenza non di una ma di dodici tigri in Un dramma nell'Oceano Pacifico è al contempo normale e curiosa: dal punto di vista commerciale, era un tipo di merce molto diversa dall'ordinario, che solitamente consisteva in oggetti di ovvia utilità come stoffe, porcellane orientali, spezie e legno di sandalo proveniente dalle Nuove Ebridi. Le merci esotiche e di lusso erano invece ricercate non solo perché rare ma anche come prova, se non dell'imperialismo almeno dell'influenza dell'Occidente: le tigri diventano così l'incarnazione dell'esotico domato dallo straniero. Le tigri simboleggiano anche il pericolo che è già bordo quando il capitano ripesca dal mare un uomo pericoloso; forse, davanti alla presunzione degli occidentali, rappresentano l'Oriente indomabile, l'oceano detto Pacifico ma inquieto, l'imprevisto del viaggio in luoghi sconosciuti; è un pericolo turbolento che vive, cresce, si agita nella stiva sotto i piedi dei viaggiatori. La tigre Darma invece, anche se addomesticata da Tremal-Naik è libera e abita, indomita, nelle Sunderbuns. Divide la sua vita fra la capanna e la giungla, è intelligente e, come bravo cane, sa obbedire ai comandi del padrone che però a sua volta non appartiene al mondo civile ma alla giungla e alle isole. Mentre Darma, che sta sempre dalla parte della giustizia, si lascia guidare dall'uomo selvaggio, la tigre cacciata dagli europei nella giungla di Labuan non si lascia prendere e neanche vedere. La caccia alla tigre è simbolo della lotta fra civiltà e natura, dove lo stesso Sandokan ha una parte ambigua, visto che in quel momento è amico degli inglesi. Ebbene, questa tigre selvaggia scappa dagli europei per venire presa proprio dal principe indigeno, che la regala a Marianna perché diventi, secondo il gusto europeo, un magnifico tappeto. E' un pegno d'amore che verrà seguito da un altro regalo, lo stesso Sandokan, la Tigre della Malesia. [...] Che siano reali, fiabesche o simboliche, le tigri di Salgari sono un'interpretazione della natura. E nella natura ricca e misteriosa Salgari congiunge l'esperienza intellettuale, quella sensoriale e quella estetica. La natura per Salgari, qualsiasi forma abbia, che sia la putrefazione del cimitero galleggiante delle Sunderbunds o il lucore della splendente fosforescenza dell'Oceano Pacifico, è semplicemente stupenda, e l'atteggiamento adatto di chi la scopre nelle sue pagine è la meraviglia e la gioia. Ann Lawson Lucas TTL/LA STAMPA 17/11/2001 (tratto dall'introduzione al volume dei Millenni Einaudi (pp.772, £.120.000.) che comprende i romanzi Le tigri di Mompracem, I misteri della Jungla nera e Un dramma nell'Oceano Pacifico) |