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Quest'Italia non ci rappresenta |
Dall'Italia, dov'è tornato per il suo insegnamento all'università di Siena, lei Tabucchi avrà letto le cronache dell'increscioso inizio di questo Salone che vede l'Italia ospite d'onore. Si è sentito confermato nel suo rifiuto a partecipare alla delegazione ufficiale dei nostri autori? Non mi piaceva, da scrittore, essere rappresentato da certi personaggi politici. Perciò da settembre aveva detto il mio no. E con Consolo e Camilleri ci siamo ritirati. La sensazione è che il governo, anziché rappresentare ciò che doveva, cioè lo Stato italiano, abbia rappresentato se stesso. Il governo non può pensare che gli scrittori si possano sentire rappresentati da certi personaggi chiassosi, strutturalmente rissosi, e con la fedina penale sporca. I francesi non sono stupidi, certe cose le sanno. Le persone strutturalmente rissose hanno avuto uno spazio enorme nell'Italia degli ultimi dieci anni, grazie alle televisioni private. Si sono conquistate un pubblico tra chi ama gli scandali e le cattive parole. In Francia questo non funziona. Dunque, c'è stato un errore strategico da parte del ministero dei Beni Culturali, dovevano trovare una persona più tranquilla. Ma il rissoso Vittorio Sgarbi è sottosegretario. Insomma, a un sottosegretario può sempre venire un'emicrania. Se si sa usare la diplomazia. Ci vogliono persone che all'estero siano presentabili. Prendiamo un Alain Elkann: potrebbe essere un buon manager, con l'esempio che ha ricevuto in famiglia, suo padre era presidente del consiglio d'amministrazione di Dior, ed è di sicuro educato. E chiariamo una cosa che va chiarita: il Salone del libro è una fiera, un luogo dove si va per vendere. Un problema che qui è all'ordine del giorno è spiegare la situazione. In quanto italiani, ci si sente chiedere Ma in Italia c'è il fascismo? Siete ancora liberi?. Secondo lei i francesi vedono le cose male, in modo schematico o, forti di uno sguardo esterno, le vedono meglio di noi? Tornando alla questione della Fiera, hanno capito che il nostro presidente del Consiglio è anche il più grande editore italiano. Dunque, si sono chiesti: verrà a vendere a se stesso? Poi, veda, un gruppo di noi, io, Scola, Bertolucci, Vattimo, tra gli altri, su invito francese nelle settimane scorse siamo stati invitati all'Odéon per un confronto sull'anomalia italiana. Vuol dire che i francesi sono preoccupati che il modello sia esportabile. Perché ormai siamo in Europa. Noi abbiamo fatto un'analisi serena e documentata. Il che ci è costato ingiurie da parte del direttore del Giornale e di Francesco Merlo sul Corriere della Sera. Come se fossimo ispiratori di odio, di violenza. Di questo suo ultimo romanzo l'Odin Teatret di Eugenio Barba ha ricavato un allestimento teatrale. Qual'è l'idea registica? Un'idea forte, bella: come in un'Alice oltre lo specchio in scena compaiono le donne destinatarie delle missive d'amore, che nel romanzo non appaiono. Le interpreta tutte una stessa attrice, Roberta Carrieri. In Si sta facendo sempre più tardi, protagonista è una forma di comunicazione ormai perduta, la lettera d'amore. Qui ce ne sono diciassette, scritte da altrettanti uomini. La forma epistolare sta tornando a galla da qualche anno... Il mio non è un romanzo epistolare, in realtà. Nel mio romanzo non torna niente. Anzi, i conti non tornano. E' un libro fatto di buchi, di assenze. Quello che vi conta è la mancanza di risposte. E' questa che mi sembra, semmai, la metafora più forte. Ed è anche una constatazione della stupidità maschile. Non ha la sensazione che siano tutti piuttosto stupidi, quegli uomini che scrivono lì? I conti non tornano. E il titolo è un po' allarmante. E' come se il treno fosse già passato. Non dà pace. Vuol dire che è tardi anche per altro? Non è mai tardi per chi una volta arriva dice un proverbio toscano. Certo, noi siamo dei sopravvissuti del ventesimo secolo. Ed è come se anche questi miei personaggi, che scrivono, stessero raccogliendo dei relitti che galleggiano dopo un naufragio. Mi sembrano degli scampati. Ma certo, ci sono comunque dei sopravvissuti. Dovremmo dare voce a loro. Intervista di Maria Serena Palieri L'UNITA' 26/03/2002 |
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