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Un western da Leone |
Era, dunque, il 28 agosto del 1964. Non sappiamo se faceva un grande caldo. Sappiamo che era un venerdì. I giornali aprivano sulla situazione sempre più critica in Vietnam (la guerra era ufficialmente iniziata il 5 agosto) e sulle cattive condizioni di salute del Presidente della Repubblica Segni. L'Unità era ancora listata a lutto per la morte di Togliatti, avvenuta il 21 agosto. Il 28 si apre il tratto Valdarno-Chiusi della A1, si annuncia la candidatura di Lyndon Johnson a presidente Usa, si apre la Mostra di Venezia. Nei cinema furoreggiano L'uomo di Rio, Il dottor Stranamore, l'opera prima di Ettore Scola Se permettete parliamo di donne, Due mafiosi nel Far West con Franco & Ciccio e un piccolo western intitolato Le pistole non discutono. E a Firenze, in un pidocchietto cinema vicino alla stazione di Santa Maria Novella, esce Per un pugno di dollari, primo western di Sergio Leone. Nessuno crede nel film. La Jolly, società di produzione, ha addirittura acquistato qualche decina di biglietti perché l'esercente non lo smonti. Incassa 400.000 lire il venerdì, 500.000 il sabato, 800.000 la domenica e 1.400.000 il lunedì!, quando solitamente i film muoiono al botteghino. Il cinema è molto frequentato da commessi viaggiatori, che creano il tam-tam. Il film diventa un caso: la Jolly lo ritira e lo fa riuscire, stavolta con un lancio in pompa magna, ad ottobre. Nasce il mito di Sergio Leone e dello «straniero senza nome» interpretato da Clint Eastwood, che arriva in un paesetto, si informa sulle usanze locali e mormora I Baxter da una parte, i Rojo dall'altra, e io nel mezzo. Pistole contro
la crisi Entra in scena, per primo, Giraldi: Venivo da una lunga gavetta come aiuto ma sognavo di passare alla regia, e sbarcavo il lunario facendo il regista di seconda unità. È un lavoro divertente: si girano per lo più le scene d'azione, di massa, mentre i registi lavorano con gli attori principali. Avevo fatto la seconda troupe per due film di Sergio Corbucci, Romolo e Remo e Il figlio di Spartacus, entrambi insensati, ma era stato uno spasso. Nel '64 arriva una telefonata da Madrid: era Sergio, alle prese un western. Partii immediatamente e arrivai in questa Spagna degli anni '60 che era un paese incredibilmente affascinante. Si stava lentamente uscendo dalla cappa del franchismo, anche se Franco era ancora vivo, e il cinema era un ambiente liberale: ricordo che nella troupe c'era un fanatico del caudillo e tutti gli altri gli dicevano sempre taci, fascista!. Volonté non si perdeva una corrida e Leone mi diede subito da lavorare con lui: girai la scena dell'agguato al fiume, quando Ramon stermina i nemici con la mitragliatrice, e la scena notturna in cui i Baxter escono dalla casa in fiamme e i Rojo li aspettano per farli fuori. Sì, è curioso, ho girato le scene più efferate forse, per me, che sognavo un tipo di cinema completamente diverso, è stata una cosa liberatoria. Giraldi girava, e a Roma Valerii guardava. Alla Jolly Film mi occupavo delle edizioni: in quegli anni curai i dialoghi italiani per le riedizioni italiane di M - Il mostro di Dusseldorf e di La tragedia della miniera. Lì conobbi Leone. Sapeva dei dialoghi scritti da me per il film di Fritz Lang e mi volle con sé. Non andai in Spagna. Curavo la post-produzione, vedevo il materiale, i giornalieri che arrivavano a Roma dal set. Sergio aveva molti problemi con i produttori, Arrigo Colombo e Giorgio Papi, che non credevano nel film. Papi mi diceva: Valerii, non perda tempo con 'sta cosetta, è solo un recupero - ed effettivamente Sergio stava usando lo stesso set di un film di Mario Caiano, Le pistole non discutono - e io continuavo a dir loro che avevano in mano un film straordinario, meglio dei Magnifici sette. Non si erano messi d'accordo nemmeno sull'attore. Sergio voleva James Coburn, loro Cameron Mitchell. Discussioni senza fine, quando un giorno entra in ufficio Claudia Sartori, che lavorava per l'agenzia William Morris, portandoci una puntata del telefilm Rawhide: date un'occhiata a questo ragazzo, disse, non sembra male. Clint Eastwood era senza barba e con la zazzera lunga, ma Sergio ebbe occhio e disse che poteva andare. Chiedeva 15.000 dollari, mentre Coburn (reduce dal successo dei Magnifici sette) ne voleva 50.000. Papi e Colombo non avevano problemi solo con Leone. Racconta Giraldi: Arrivo a Madrid la prima sera, incontro subito Colombo che mi stringe la mano e mi fa: sa, Giraldi, io non credo nelle seconde unità! Bell'inizio Poi mi fece esordire nella regia, anche perché Sergio li aveva mandati al diavolo e non avrebbe mai fatto il seguito, Per qualche dollaro in più, con loro. Così Papi e Colombo, sommersi dal denaro guadagnato con Per un pugno di dollari e desiderosi di fare subito un altro western, lo offrirono a me. Girai 7 pistole per i MacGregor, che fu un grande successo, e come si usava allora mi scelsi un nome inglese: volevo mantenere le mie iniziali, F.G., e in omaggio all'attore John Garfield decisi di chiamarmi Frank Garfield. La sera della prima mi chiamano dalla produzione: dottore, è successa una disgrazia io chiedo cosa diavolo è capitato, e mi dicono: hanno sbagliato la stampa, su tutte le copie il suo nome è scritto Frank Grafield scoppio a ridere, dico e chi se ne frega!, e Grafield è rimasto, per sempre. Si perse la
sceneggiatura A ripensarci, appare incredibile che Per un pugno di dollari, nato in circostanze così improbabili, sia diventato il capostipite di un genere e uno dei film italiani più amati e studiati nel mondo. Leone aveva fatto il miracolo: dal caos, aveva estratto un'opera personalissima. Giraldi sarebbe diventato uno dei più raffinati autori del nostro cinema. Valerii avrebbe esordito nel '66 con Per il gusto di uccidere e avrebbe ottenuto grandi successi - soprattutto Il mio nome è nessuno, in cui ebbe l'onore di dirigere Henry Fonda - per poi diventare uno dei registi rimossi del cinema italiano: non dirige nulla dal '97 e in Rai, parole sue, è persona non grata. Ma su questo, in futuro, torneremo. Alberto Crespi L'UNITA' 19/08/2004 |
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