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Fernando Solanas, la lezione Argentina |
Nel '68 col suo L'ora dei forni sull'ondata rivoluzionaria che scosse l'America Latina alla fine degli anni Sessanta il film era dedicato al Che -, diventò simbolo e punto di riferimento per tanto cinema politico e militante. Oggi, a distanza di più di trent'anni d'allora, Fernando Solanas padre dei Cine-Liberation, torna a parlarci del suo paese, l'Argentina, per denunciare la drammatica crisi socio-economica firmata da Carlos Menem, culminata con la ribellione popolare del dicembre 2001. S'intitola La memoria del saccheggio ed è un documentario in dieci capitoli che probabilmente arriverà al prossimo festival di Cannes, accanto all'altro, attesissimo sui rapporti tra la famiglia Bin Laden e quella dei Bush, firmato da Michael Moore, autore che lo stesso Solanas dice di apprezzare tantissimo e che, in qualche modo, seguono lo stesso filo rosso: la denuncia severa degli orrori della globalizzazione altro non è che un rigoroso atto d'accusa contro quella politica neoliberista sposata da Menem negli anni Novanta che ha portato l'Argentina nel baratro. Un'esperienza tragica vissuta sulle pelle da milioni di cittadini che mai, come in questo momento, tanto più nell'Italia di Berlusconi, appare come un monito. Non sono al corrente nel dettaglio di quello che sta accadendo nel vostro paese spiega il regista ma so che la politica di Berlusconi è molto allineata a quella degli Stati uniti, che vive sul degrado dell'istituzione repubblicana e che, cosa da non dimenticare mai, ha appoggiato l'azione criminale dell'intervento in Iraq. A sessantasette Fernardo Solanas non ha perso l'aria da combattente di sempre. Costretto all'esilio durante la dittatura militare (vi ricordo Tangos, l'esilio di Gardel?), al suo rientro in patria nell'84, ha scelto la strada della politica attiva come deputato (dal '93 al '97) del Frepaso, il fronte di centro-sinistra. Ed è da allora che ha cominciato, inascoltato anche dalla stampa internazionale, a tirare i suoi strali contro la politica di Menem. Da dieci anni racconta il regista denunciavo l'enorme bugia che nascondeva il governo Menem, mettendo in guardia dal pericolo del genocidio sociale a cui puntualmente si è arrivati. Per questo ho subìto persino degli attentati. Nel maggio del '91 mi hanno gambizzato: è stato il primo attentato politico avvenuto in era democratica. Senza contare, poi, le volte che Menem mi ha trascinato davanti ai giudici per diffamazione. Adesso tutto questo Fernando Solanas lo può dire liberamente. Anzi lo racconta nel suo La memoria del saccheggio che prende le mosse proprio dalla storica rivolta del dicembre 2001, quando tutto un paese intero si riversò per le strade di Buenos Aires perché aveva scoperto che i suoi depositi bancari non esistevano più. E' stata una ribellione spontanea prosegue il regista la gente non andava più a lavorare, tutto il paese era bloccato. In piazza non c'erano né leader né politici e il grido nelle strade era: Que se vayan todos!. Questo è stato il culmine. Ma il disagio sociale aveva già una lunga storia e si faceva sentire, racconta Solanas. Negli anni Novanta dice sull'onda dei movimenti del Social forum, ci sono stati tanti scioperi, tante manifestazioni, delegazioni di disoccupati che bloccavano il traffico, occupazioni di terre e case. E anche questo vedremo nella memoria del saccheggio. Ma soprattutto seguiremo passo passo il processo di privatizzazione selvaggia che ha messo in ginocchio il paese. A partire da quello della ferrovie, delle poste, delle televisioni, dell'acqua, della telefonia e persino del petrolio che, spiega Solanas, neanche il regime militare aveva osato alienare. Così l'Argentina è stato l'unico paese a perdere il suo petrolio, nazionalizzato fin dal 1907, senza alcuna guerra. Questo piano di privatizzazioni sfrenate continua ha avuto come unici beneficiari le grandi imprese argentine e quelle internazionali. Non solo americane, ma anche europee. Basta pensare alla telefonia, svenduta ai due governi socialisti europei di allora: quelli di Mitterand e di Gonzales. Da questa operazione abbiamo portato a casa il canone telefonico più alto dell'America Latina e senza servizi aggiuntivi. E così per tutto il resto. Per l'acqua, svenduta ad un consorzio che non ha provveduto a niente, né alle fognature, che mancano in tutto il paese, né a portare l'acqua potabile alle 800mila persone che non ce l'hanno. Uno scandalo continuo. E' stato svenduto a pezzi tutto il paese, fino ad accumulare un debito pubblico di 140 miliardi di dollari. E tutto questo, denuncia Solanas, con la corresponsabilità della Banca mondiale e del Fondo monetario che sono notoriamente gli organismi ufficiali agli ordini non solo degli Stati uni, ma anche della comunità europea. Il film di Solanas, racconterà questa paurosa discesa agli inferi di una grande nazione. Pilotata da quella che il regista definisce la mafiocrazia, andata al potere grazie anche alla straordinaria campagna di bugie diffuse attraverso i media. Guarda caso, infatti, la prima cosa che ha privatizzato Menem è stata la televisione, consapevole del potere della telecrazia, un modello culturale che voi in Italia conoscete bene. Eppure, se da una parte la grande scena è saldamente tenuta dalla tragedia, dal crack economico dell'Argentina, dall'altra esiste ed è attiva una coscienza popolare che, nonostante tutto, continua la sua resistenza convinta che un altro mondo sia possibile. E' L'Argentina latente, quella nascosta cioè, alla quale Fernando Solanas dedicherà un altro documentario a cui sta già lavorando. E' il paese della solidarietà conclude il regista delle persone che si autorganizzano, che tentano altre strade, che reagiscono. E lo racconterò attraverso le testimonianze di didici protagonisti. Da coloro che lottano contro le inondazione permanenti, agli operai che hanno riaperto le fabbriche, in regime di autogestione. Insomma, l'Argentina che non si vede, che i media ignorano, ma che esiste davvero. E che interpreta la speranza non soltanto del paese del grande regista, ma dell'intero pianeta. Gabriella Gallozzi L'UNITA' 13/11/2003 |
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