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MUSICA

Steve Reich col surf tra Debussy e Weill

ll New York Times lo colloca fra i grandi compositori del novecento, il New Yorker lo definisce “il pensatore musicale più originale dei nostri tempi”, il Guardian sostiene che ha cambiato il corso della storia musicale del Novecento, ebreo americano, classe 1936, una bella laurea in filosofia, la testa non se la monta lo stesso però. Lui, che è riuscito, come pochi altri, a dare vita ad una musica alta e rigorosa ma al contempo in grado di raggiungere un pubblico vasto. Lui, che come ha sottolineato in maniera davvero illuminante Paul Griffiths, nella sua commistione di spunti diversi, presi dalla polifonia medievale europea, dal percussionismo africano, dalla musica rock americana e dal gamelan indonesiano, realizza musicalmente la scommessa di New York di rappresentare un patria comune per tutti gli immigrati. Lui, dicevamo, lavora ancora con lo stesso entusiasmo dei primi anni e continua imperterrito a comporre con un invidiabile slancio creativo. Lungo, anzi lunghissimo, l'elenco delle sue opere, dalla giovanile It's Gonna Rain (1965) sino alla recente video-opera Three Tales (2002), realizzata con l'artista Beryl Korot, passando per la bellissima Thillim (1980), per la innovativa Different Trains (1988), in cui è il linguaggio parlato la base da cui germina il materiale musicale, e per The Cave (1993), in cui si fondono teatro e tecnologia moderna in una sorta di ripensamento storico, che parte dalla figura simbolica di Abramo, all'interno della quale vengono proiettate le identità ebraica e musulmana (argomento di scottante attualità).

L'appuntamento telefonico è per le 16,20. In punto. Ad li là dell'Oceano, a New York, è mattina, e Steve Reich si è alzato da poco, ma ciò nonostante è di ottimo umore e non esita un attimo a mettere in moto il suo eloquio torrenziale. Non chiedeteci come, ma, dopo i soliti convenevoli che si fanno tra due persone che non si sono mai parlate prima, ci siamo trovati a chiacchierare di Umberto eco.

Tempo fa Eco ha dichiarato che secondo lui Kurt Weill è il Mozart del Novecento, lei Reich cosa ne pensa? E' d'accordo?

Ammiro moltissimo Kurt weill. Aveva capito prima di chiunque altro che il romanticismo era finito. Che non aveva più nulla da dire. Ed ha avuto il coraggio di cambiare le cose.

Quali cose?

Si è detto per esempio: perché devo continuare ad usare un'orchestra, se per le cose che faccio io funzionerebbero molto meglio – che so – un banjo e una chitarra? Poi non bisogna dimenticare il lavoro rivoluzionario che ha fatto con le voci.

A proposito di “rivoluzione”, qual'è secondo lei la più importante innovazione nel campo della musica degli ultimi vent'anni?

Difficile dirlo. Nell'arco di tempo al quale si riferisce lei non c'è stato un gran che di veramente rivoluzionario. Sono profondamente convinto che non sempre sia necessario avere una spaccatura radicale con il passato, o presente che sia.

Ai suoi tempi le cose erano un po' diverse però...

Quando ho iniziato io c'erano Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez, John Cage, e chi scriveva musica doveva necessariamente fare riferimento a loro. Con le mie partiture ho provato a far vedere che esisteva anche un signore di nome Claude Debussy.

Scusi la domanda di rito, e forse anche un po' scontata, ma quali sono i compositori attuali che la interessano?

Micheal Gordon, il suo “Decasia” per orchestra, rappresentato in prima assoluta due anni fa in Svizzera. E' splendido, e poi David Lang ovviamente, e i Bang On A Can. Infine non posso non citare Arvo Pärt, bravissimo, con la sua semplicità, il suo recupero di forme e modi che provengono da periodi musicali lontanissimi.

Lei Reich è stato forse uno dei primi a gettare un ponte fra la musica antica e quella contemporanea. La sua musica è, lo dico molto riduttivamente, in qualche modo anche una sintesi di due generi temporalmente così lontani.

Beh, sì. E' l'approccio ad essere diverso rispetto alla musica classica e romantica, che sono invece più tese verso un senso narrativo.

Lei ha studiato le forme di polifonia arcaica, percussioni presso l'Università del Ghana, si è interessato poi al gamelan balinese, allo studio della cantillazione salmodica ebraica, c'è qualcos'altro da aggiungere?

Mi interessano molte cose. Sono un curioso. Aggiungerei il bebop.

Il bebop?

Certo, senza il bebop, senza aver ascoltato con attenzione la batteria di Kenny Clarke, non avrei scritto certe partiture come “drumming”. Ho trasformato il linguaggio bebop in pattern ritmici.

Visto che ci siamo, che altro jazz l'ha ispirata?

Lo scat di ella Fitzgerald è stato fondamentale. Poi John Coltrane, il suo “Africa Brass”: si rende conto lei che in quel brano trane suona per un'ora e mezza su un unico accordo?

Me ne rendo perfettamente conto. E' stato questo suo interesse per una musica che non si muove armonicamente che l'ha portata poi al gamelan?

Direi proprio di sì.

Passiamo alla musica classica: ci faccia qualche nome.

Così al volo Josquin Desprez, Bach, Weill, Debussy, Satie, Webern, Bartok.

Lei è stato anche remixato, le è piaciuta l'operazione?

E' vero, un gruppo di dee jay ha preso la mia musica e l'ha remixata. Divertente no? Si vede che ho una buona reputazione fra i dee jay. E dire che non li ho nemmeno mai conosciuti. Un giorno forse...

Per concludere Reich, è d'accordo a mettere fine una volta per tutte alla parola minimalismo quando si parla della sua musica?

(risata clamorosa) Se viene a trovarmi dopo il concerto a Fano le offro da bere.

Intervista di Helmut Failoni – L'UNITA' – 16/07/2003

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