Caro
Adriano, oggi molti aerei da turismo passeranno sulle spiagge
italiane con uno striscione per pubblicizzare creme solari o
gelati. Mi dicono che nel cielo di Pisa ne passerà uno con
scritto «liberi liberi». È un piccolo aereo
coraggioso che vola controcorrente, in un Paese dove la parola
libertà ha subito una modificazione genetica, e faccio i
miei migliori auguri al messaggio che reca. Oggi compi
sessantanni. So che molte persone che trovano ingiusto che
tu stia ancora in galera si riuniranno a Pisa, sotto le tue
finestre, per così dire. I miei auguri sono per te,
Bompressi e Pietrostefani, certo. Ma anche per tutti noi. Perché
tu pesi assai sulle nostre coscienze di uomini divisi. Cè
un «Noi diviso» (rubo lespressione a un
bellissimo libro di Remo Bodei) che ha sempre tormentato
lItalia, impedendole di farle acquisire lidea di
nazione compiuta e sufficiente; e che la rende una Repubblica
anormale: anoressica o bulimica, a secondo dei momenti, con
unanomalia non solo verso gli altri Paesi europei ma
soprattutto verso se stessa. E questa anomalia che ne
stravolge i tratti come un volto dipinto da Francis Bacon, le
impedisce di riconoscersi allo specchio. Queste cesure, questi
tagli, questi buchi, questi eczemi che il nostro Paese porta in
viso, purtroppo non si curano con bandiere o inni nazionali, né
con false pacificazioni che negano il passato affermando che
avendo tutti ragione avevamo tutti torto. Si curano con un gesto
reale, con il buon senso, con la prudenza. Ma non con la prudenza
che Manzoni attribuisce a Don Abbondio, ma con la prudenza di cui
parla il Cristo, quella di chi non sperpera invano il poco olio
che ancora resta nelle nostre lampade. Definisco un atto di buon
senso e di prudenza quello che si chiama un «atto di
clemenza», anche se in realtà sarebbe un «atto
di giustizia» nei tuoi confronti. In questa baldoria forse
un piccolo gesto apparentemente insignificante da parte di chi
può farlo, e invece estremamente significativo. Vorrebbe
dire tante cose, agli Italiani. Oltre che ripristinare un senso
di legalità ormai in apnea, anche un messaggio a suo modo
storico. Io spero che coloro che dovrebbero capirlo lo capiscano.
Altrimenti peggio per te, peggio per voi, prima di tutti. E poi
peggio per noi, ma anche peggio per loro, perché anche
loro affonderanno nella barchetta su cui stiamo tutti. Se lo
Stivale si riempie dAcqua, va a picco con tutti i
passeggeri, anche quelli che stanno sul ponte di comando. Io
sono lontano, e non posso partecipare al «festeggiamento
pisano». Uso questa parola perché in fondo gli amici
che reclamano la fine dellaccanimento terapeutico che ti è
inflitto festeggiano anche la serenità con la quale hai
saputo affrontarlo, una serenità e una fermezza, in
questItalia sguaiata e senza sterzo, che alle orecchie
degli sguaiati che guidano a tutto gas il nostro Paese deve
probabilmente sembrare beffarda. Ed è anche per questo che
forse se la sono legata al dito: tu non chiedi niente a nessuno,
e stai dove ti hanno messo, ripetendo tranquillamente che ti ci
hanno messo ingiustamente. È una cosa logica. Ma la logica
che guida coloro che guidano la barca è diversa. Essa
corrisponde allantico detto italico del cornuto e mazziato.
Dopo aver fatto un sopruso, una cosa che sarebbe inaccettabile in
un altro Paese europeo (una condanna senza neppure una prova,
solo sulla parola di un pentito - e che parola! -), vorrebbero
anche che il cornuto chiedesse scusa. Essendo lontano ho pensato
di festeggiarti a mio modo parlando del tuo ultimo libro. Altri
Hotel, Mondadori Editore, appena uscito. Io e te ci siamo
conosciuti tardi e siamo diventati amici dopo. Venivamo da
unaltra esperienza, da altri percorsi politici e culturali.
Io non sono mai stato un rivoluzionario: sono sempre stato un
intellettuale borghese, caratteristica che si è
consolidata col tempo. Era il 1989, mi pare, era appena comincia
la tua Odissea e io avevo letto sui giornali di un signore che
vende le frittelle il quale, ventanni dopo, vi inchiodava
con la sua spontanea testimonianza resa a un sacerdote prima di
essere resa ai carabinieri e credibile perché «aveva
studiato dai salesiani» (sic, dagli atti del processo).
Lincerta testimonianza del frittellaro, riportata dalla
stampa italiana, mi suggerì allora un racconto intitolato:
"Può il battere dali di una farfalla a New York
provocare un tifone a Pechino?" (È la dizione esatta
della cosiddetta teoria delle catastrofi). Il mio racconto uscì
nel 1990, in un volume intitolato "Langelo nero",
dove si tratta soprattutto di malefatte, e fu subito oggetto di
unocchiuta magistrata, la dottoressa Laura Bortolé
Viale, che lo inserì nella sentenza del primo processo
dappello, del 1991, in compagnia di un libro di Leonardo
Sciascia: «Questa diabolica messinscena è anche il
contenuto di due racconti pubblicati non a caso in concomitanza
con linizio del processo di primo grado, "Una storia
semplice " di Sciascia, e di secondo grado, "Può
il battere dali di una farfalla a New York provocare un
tifone a Pechino?", di Tabucchi». Era la prima volta
in Italia, dallInquisizione e dal Ventennio fascista, che
due opere di letteratura venivano pubblicamente indicate al rogo
dalle istituzioni giudiziarie. Ciò mi seccò assai.
Fra laltro anchio avevo letto attentamente le teorie
sulla cosiddetta «autonomia del personaggio» come ci
insegnavano gli strutturalisti e i narratologi dellepoca, e
trovai dignitoso protestare: come si permetteva la signora
magistrata, di violare lintoccabilità dellautonomia
del mio personaggio? Se lei in quel poveraccio la cui falsa e
contraddittoria confessione è fatta partorire da un
maieuta di servizio, tipo il grande inquisitore o il pubblico
ministero politico dei processi staliniani, vedeva Leonardo
Marino, io rivendicavo il fatto che quello era il mio
personaggio, che da Marino traeva sì ispirazione, ma che
era assolutamente un personaggio autonomo inventato ed elaborato
dalla mia fantasia. Oggi, passati dodici anni, devo ricredermi.
La dottoressa Bertolé Viale aveva ragione in anticipo:
quel personaggio è davvero Leonardo Marino. Nel senso che
dai processi che sono seguiti, Marino ha fatto di tutto per
assomigliare al mio personaggio. È diventato il mio
personaggio. Mi ha copiato. «La macchina non era di quel
colore che dico nella deposizione, è vero, mi sono
confuso», ammette in un successivo dibattimento. Oppure:
«sì, quel giorno a Pisa pioveva a dirotto, ora mio
ricordo meglio signor Presidente», precisa, «non era
una splendida giornata di sole, e dunque io e Sofri non
passeggiavamo lungo lArno». «Sì con la
macchina feci una manovra di retromarcia ma non fu proprio così,
fu cosà, signor Presidente del tribunale, mi ero confuso».
I giudici capiscono queste fessure del ricordo. Ma certo, è
logico che un uomo che in un giorno della sua vita riceve
lordine che sarà fatale per tutta la sua vita, possa
non ricordare se quel giorno pioveva a dirotto oppure stava
passeggiando sulle rive soleggiate dellArno che Leopardi
amò tanto. Sono solo degli «assestamenti memoriali»
dicono i giudici (sic!), perché così sono state
definite queste robe di Marino dai volenterosi magistrati che
hanno giudicato te Caro Sofri, con Bompressi e Pietrostefani.
Assestamenti memoriali, termine quasi geologico, come quando si
parla di terremoti. Ma fin dove può arrivare la scala
Mercalli della burocrazia italiana? Forse il malore attivo che
uccise lanarchico Pinelli era solo il principio. Caro
Adriano, per «festeggiarti» da lontano mi ero
proposto un compito, un compito di cui non sono capace. Volevo
«recensire» il tuo libro ma mi rendo conto che esso
non è «recensibile». Per parlarne in maniera
seria e approfondita sarebbe necessario forse un altro libro.
Perché è illibro di un umanista, parla di noi e del
mondo, è troppo vasto per il riquadro di un articolo. Lo
faccio dunque in maniera sbrigativa, quasi come pretesto, ma
credo a suo modo sostanziale, proponendolo agli italiani tutti
che si trovano felicemente in vacanza al mare e ai monti, come
libro dellestate. Anzi, dellanno. Anzi, dellepoca
che ci è data da vivere. Dicendo loro: lettori vicini e
lontani, tutto quello che vi circonda, televisione, opinionisti,
finanzieri e politici soprattutto, hanno da tempo iniziato una
campagna di diseducazione nei confronti della vostra
intelligenza, al punto tale che ormai rischiate di non orientarvi
più in questa selva selvaggia in cui lallegro
millenni ci ha introdotto. Cè un signore che al
contrario di voi che state fuori, sta dentro. E dunque vede il
mondo dal di dentro. Si chiama Adriano Sofri, è stato
senza prova condannato a ventidue anni di galera e ha scritto un
libro intitolato "Altri Hotel" (Mondadori Editore)
raccogliendovi i suoi interventi pubblicati dal 1997 al 2002, dal
suo dentro. Gli argomenti sono di varia umanità, ma non
riguardano tanto lui (o lo riguardano solo in parte), riguardano
soprattutto voi, cioè noi. Questo signore, secondo quanto
vuole la nostra Costituzione, sta scontando una pena che ha il
compito di «rieducarlo» perché in un paese
occidentale e democratico come lItalia il carcere ha il
compito di «rieducare i cittadini» che non erano
sufficientemente educati. Ebbene questa rieducazione ci pare
ormai un accanimento terapeutico, come ho già detto,
perché egli in queste sue pagine appare totalmente
«rieducato», che la loro lettura contribuirà
alla vostra rieducazione per la democrazia, la convivenza,
lintelligenza e altri beni preziosi che tutto intorno a voi
cerca di farvi perdere. Per questo, di questo libro, raccomando
la lettura a chi potrebbe fare un cosiddetto «atto di
clemenza» verso un cittadino che dal di dentro si sta
prendendo la briga (impresa titanica, peraltro) di rieducare alla
chiarezza un Paese che pare vaghi nelle nebbie della demenza. Con
la nebbia che caratterizza la nostra informazione libera, no si
riesce a sapere bene chi potrebbe compiere un tale atto. Alcuni
dicono un ministro, altri indicano un sottosegretario, i biografi
di Caligola un cavallo, o un suo stalliere, o il cavaliere del
cavallo. Io dopo avere interpellato credibili giuristi, continuo
a pensare che latto sia di totale responsabilità del
Presidente della Repubblica. E a lui mi rivolgo con il rispetto
che si deve a un Presidente della Repubblica, che non è
una cosa a da poco. Rifacendomi alla Storia, che è sempre
maestra di vita, come si dice, ricordo che già ci furono
personaggi del passato che non si rassegnarono al ruolo di
comparse. Assai rari, un giorno fecero il gran rifiuto. Perché
dettero un segnale che non erano imbalsamati, erano ancora vivi.
E quel segnale, che necessariamente non era un gran rifiuto ma
solo una piccola presa di posizione, cambiò il corso degli
avvenimenti. Stiamo a vedere, caro Adriano. Auguri.
Antonio Tabucchi
L'UNITA' 01/08/2002
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