La
prima volta che lEuropa viene chiamata con disprezzo
«Vecchia» (quel disprezzo volgare che certi
ragazzotti maleducati manifestano con le persone anziane) è
nellaprile del 1909. Succede a Milano ma viene fatto in
francese, in parte per ragioni di diffusione, in parte perché
lautore dellinvettiva è un italiano nato ad
Alessandria dEgitto e cresciuto a Parigi, perciò
tendenzialmente francofono: Filippo Tommaso Marinetti. Il luogo
dellinvettiva è la rivista letteraria Poesia,
organo del gruppo che Marinetti sta raccogliendo intorno a sé,
i Futuristi, e precede il Secondo Manifesto di quel movimento
intitolato Uccidiamo il chiardiluna! Questo secondo
proclama, specifica Marinetti, nasce dallesigenza di
rispondere per le rime agli insulti con i quali il «Futurismo
trionfante» è stato ricevuto dalla «Vecchia
Europa». Per «Futurismo trionfante» Marinetti
intende quel Manifesto del Futurismo da lui stesso pubblicato
pochi mesi prima sul quotidiano pariginoLe Figaro dove,
con un solenne plurale di maestà, egli dichiarava: «Noi
vogliamo esaltare il movimento aggressivo, linsonnia
febbricitante, il passo ginnico, il salto pericoloso, gli
schiaffi e i pugni». E qui Marinetti, in opposizione alla
«Vecchia Europa» e alla sua cultura stantia,
esprimeva il proprio concetto di modernità: «Noi
dichiariamo che lo splendore del mondo si è arricchito di
una nuova bellezza: la bellezza della velocità.
Unautomobile ruggente che sembra correre sulle ali della
mitraglia è più bella della Vittoria di Samotracia.
(...)Noi vogliamo demolire le biblioteche, combattere il
moralismo, il femminismo e tutti i vigliacchi. (...)Noi vogliamo
glorificare la guerra, unica igiene del mondo, il militarismo, il
patriottismo». Di lì a non molto, a mettere in
pratica questi principî ci avrebbe pensato Mussolini (fra
le cui braccia Marinetti si rifugiò) aggredendo la Libia e
lAbissinia, e poi il medesimo in coppia con Hitler,
aggredendo la «Vecchia Europa» e scatenando la
seconda guerra mondiale. La «Vecchia Europa»
segnata da una «pensosa immobilità» contro cui
il futuro Cavalier Marinetti (un altro dei Cavalieri di cui può
fregiarsi lItalia) si scagliava, era l'Europa di scrittori
e intellettuali che si chiamavano André Gide (che nel 1908
aveva fondato la Nouvelle Revue Française), Julien
Benda, il futuro premio Nobel Romain Rolland (che allo scoppio
della prima guerra mondiale avrebbe fatto scalpore con il
pamphlet pacifista Al di sopra della mischia, e poi con la
Dichiarazione di indipendenza dello spirito cui aderirono
fra gli altri Einstein, Bertrand Russel e Benedetto Croce), Henri
Barbusse, Heinrich Mann (che per la sua opposizione ai nazisti
finì prima in Francia e poi negli Stati Uniti), Robert
Musil (che con I turbamenti del giovane Törless nel
1906 aveva dimostrato di non prediligere leducazione
militare come Marinetti), Edward H. Foster (la cui Camera con
vista del 1908 doveva risultare al gesticolante Marinetti di
uninsopportabile raffinatezza «passatista»),
Gaetano Salvemini (la cui Rivoluzione Francese del 1905
esaltava dei valori quali Liberté-égalité-fraternité,
davvero troppo «vecchi» per Marinetti). Questa
«Vecchia Europa» contro la quale Marinetti si
scagliava era in sostanza quellEuropa di scrittori,
pensatori, filosofi e intellettuali che nel 1935, arricchita da
una generazione più giovane (Brecht, Babel,
Pasternak, Malraux eccetera) si sarebbe riunita a Parigi in un
incontro che segnò un evento di grande portata simbolica,
il Congresso Internazionale degli Scrittori per la difesa della
Cultura (su questo argomento si legga il bellissimo saggio di
Sandra Teroni edito due anni fa da Carocci, Per la difesa
della cultura. Scrittori a Parigi nel 1935. Ed era contro
questa cultura, contro questo «vecchiume» che già
tuonava il «moderno» Marinetti strillando in quel suo
proclama: «La guerra, nostra sola speranza, nostra ragion
di vita e nostra unica volontà! Sì, la guerra!
Contro di voi che morite troppo lentamente!». A meno di un
secolo di distanza, le parole di Marinetti sembrano ritornare
sulle labbra dellattuale presidente degli Stati Uniti,
George W. Bush. Colpa della Storia? Forse. Ma, come diceva Josif
Brodskij sui corsi e ricorsi della Storia, anche la Storia, al
pari degli uomini, non ha poi tante scelte. E tante scelte non
pare averle neanche George W. Bush, incalzato dalle compagnie
petrolifere e dalle poderose fabbriche di armi che lhanno
sostenuto in campagna elettorale e che in questi ultimi anni
hanno fabbricato tonnellate e tonnellate di ordigni. I magazzini
vanno svuotati, altrimenti il ciclo di produzione si inceppa. Le
bombe, al pari dello yogurt, hanno una data di scadenza, e la
società dei consumi esige che vengano consumate, e come
consumatori gli americani hanno scelto il popolo iracheno. Per
ora, perché forse consumeremo tutti lo stesso prodotto,
dato che anche il dittatore comunista della Corea del Nord ha dei
prodotti che desidera far consumare, e perfino il Pakistan,
filoamericano a forza, ma in realtà percorso da ventate di
fondamentalismo islamico che il generale di turno insediato da
Washington cerca di tenere a freno, ha le sue bombe atomiche da
spacciare. LUranio, si sa, è un elemento impaziente.
Dal suo punto di vista, e statistiche alla mano, il
presidente degli Stati Uniti non ha tutti i torti: noi moriamo
troppo lentamente, come diceva Marinetti. Grazie alla qualità
della vita, viviamo troppo a lungo, e lEuropa diventa
sempre più vecchia. I bambini iracheni, poi, nel morire
rivelano una lentezza esasperante. Vedendo i rari documentari che
mostrano le corsie degli ospedali pediatrici di Bagdad, quei
corpicini macilenti impossibili da curare per la mancanza di
farmaci causata dal blocco americano, si capisce che impiegano a
morire più dello stretto tempo necessario. Forse, in
fondo, quella di Bush è unidea a suo modo
filantropica: abbreviare le sofferenze. E anche i bambini
palestinesi ammazzati dai carri armati israeliani nei territori
occupati da Ariel Sharon (al quale il Belgio ha appena riaperto
il processo per genocidio) non muoiono poi in numero così
sufficiente come potrebbero. E nemmeno i bambini israeliani che
saltano in aria nei supermercati o negli autobus per i kamikaze
palestinesi sono poi così numerosi come potrebbero, forse
perché i genitori terrorizzati li tengono troppo in casa:
un bel missile sul tetto scagliato da un Saddam Hussein aggredito
dagli americani alzerebbe le statistiche. Lindice
tanatos-mibtel della Borsa di Mortalità Infantile è
decisamente in ribasso. Ma, oltre che sulla necessità
di una bella igiene del mondo, Bush mostra con Marinetti affinità
anche sulla sua concezione della modernità, o meglio di
ciò che è «nuovo» e di ciò che è
«vecchio». Fino a poche amministrazioni fa lAmerica,
che allEuropa deve il fatto di esistere come lAmerica
che è, ha sempre sentito un senso di filialità
verso il continente che l'ha generata. Sapeva di essere un Paese
ricco e potente, ma anche giovane, molto giovane: un giovanottone
robusto e vitaminizzato, con delle spalle possenti quanto
l'Empire State Building e larghe come il ponte di Brooklin. Ma
sapeva che sotto le fondamenta dellEmpire non cerano
le pietre del Partenone né sotto i piloni del ponte di
Brooklin le pietre del Colosseo o le fondamenta di Lutezia.
Cerano le praterie dove prima scorrazzavano le mandrie
selvagge dei bufali e le libere tribù dei nativi
sterminati in un genocidio che poi Hollywood ci ha fatto vedere
con Piccolo grande uomo oBalla coi lupi. Questa
giovinezza, peraltro con le ammirevoli doti proprie della giovane
età (lenergia, la buona volontà, la natura,
linnocenza - quelle virtù celebrate nel più
bel poema della letteratura americana, leFoglie derba
di Whitman) era intesa da buona parte della società
medio-colta americana, e dalla migliore classe politica, nel suo
lato positivo sì, ma anche con tutti i limiti che la
gioventù comporta, il rovescio della medaglia dellenergia
e dell'innocenza: lingenuità, la mancanza di
esperienza, la fragilità culturale (nel senso più
profondo di «elaborazione di cultura») di un Paese
che per organizzarsi in forma sociale ha avuto bisogno dei
modelli della vecchia Europa. E nei momenti in cui, come
negli anni del Maccartismo, lAmerica ha avuto la minaccia
di idee simili a quelle non della «Vecchia Europa»,
ma della giovane Europa o della giovane Italia (perché il
fascismo lo inventa lItalia nel 22: è più
giovane di Marinetti), i suoi valori sono stati difesi da persone
come Einstein, per esempio, che in America trovò rifugio e
senza la quale forse non avrebbe fatto tutte le sue geniali
scoperte, ma anche senza il quale l'America non sarebbe la
potenza scientifica che è. Larrivo
dell'amministrazione Bush è coinciso con la pienezza di
quella che viene chiamata «rivoluzione tecnologica»,
anche se essa era già in atto. E anche se, già al
tempo della guerra fredda, le due potenze, Unione Sovietica e
Stati Uniti, misuravano la propria superiorità sulla
rispettiva superiorità tecnologica, dopo il crollo
dellUnione Sovietica gli Stati Uniti sono rimasti assoluti
padroni del campo. E da allora in poi la tecnologia ha subito
un'evoluzione incredibile in ogni sua applicazione, dalla
medicina alla biologia, dalle comunicazioni agli armamenti. Un
presidente come Bush, texano che in vita sua ha visto solo vacche
e pozzi petroliferi, che non ha mai viaggiato, che ignora
totalmente il mondo, che non parla nessuna lingua oltre al suo
inglese dal lessico limitato, con un grado di cultura basso e con
un quoziente di intelligenza che non pare entusiasmante (le sue
risposte alle interviste in diretta in questo sono eloquenti) ha
probabilmente equivocato fra «tecnologia» e
«civiltà». Per lui la «tecnologia»
è lequivalente di civiltà e di cultura. Il
resto (dal diritto romano allhabeas corpus, da Aristotele a
Kant a Hegel a Bertrand Russel al diritto internazionale alla
Carta dei Diritti Umani allOnu) non esiste. Anzi, è
«roba vecchia». Con un concetto molto vago
dellintelligenza, ripone la sua fiducia nelle bombe
«intelligenti» per risolvere sbrigativamente (crede)
il problema del terrorismo internazionale e di certi ingombranti
personaggi che i servizi segreti del suo Paese hanno costruito
con le loro mani. Del resto basta vedere come ha ridotto le
garanzie di una democrazia che sembrava solida e che nelle sue
mani si è dimostrata di una fragilità allarmante: i
tribunali militari, le procedure durgenza, i diritti dei
prigionieri, la libertà di esprimere il proprio pensiero o
di manifestarlo pacificamente con la propria presenza fisica. È
la sua idea della «modernità» rispetto alla
«Vecchia Europa». E che trova un corrispettivo
nellideologia senza ideologia dellItalia del governo
Berlusconi, col suo «nuovo che avanza», la modernità
intesa come «modernizzazione», la trimurti
«culturale» che Berlusconi predica, il vitello doro
delle tre i: inglese, informatica, impresa. Una modernità
tecnologico-economica che i due «friends» hanno
scambiato per «civiltà occidentale», e che
dunque possono permettersi di anteporre ad altre civiltà.
Una «modernità» sconsiderata, priva di radici,
di fondamenta e di saggezza, privata di istituzioni di garanzia,
direttamente subordinata alla propaganda televisiva. Una
«modernità» altamente pericolosa, percorsa
dalla tentazione totalitaria. Una «modernità»
che non ha capito i rischi che tale «modernità»
reca con sé, quelli contro i quali già alzava la
voce Allen Ginsberg nella poesia America: «America
quando finiremo la guerra umana?/ Va a farti fottere tu e
la tua bomba atomica/
/ America perché le tue
biblioteche sono piene di lacrime?/
/ America dopo tutto
siamo tu e io a essere perfetti non il mondo vicino/
/ Il
tuo macchinario è troppo per me/
/ Lascerai che la
tua vita emotiva sia guidata dalla rivista Time?/
/
America tu in realtà non vuoi fare la guerra./ America
sono quei Russi cattivi./ Quei Russi e quei Cinesi. E quei
Russi./ La Russia vuole mangiarci vivi. La Russia è pazza
di potere. Vuole portarci via le automobili dai garages./ Vuole
impadronirsi di Chicago. Ha bisogno di un Reader's Digest Rosso/
Vuole le nostre fabbriche di automobili in Siberia. Che la sua
grossa burocrazia diriga le nostre stazioni di rifornimento./
/
America è questa l'impressione che ricevo guardando la
televisione./ America è giusto?» (la poesia di
Ginsberg è citata nella traduzione di Fernanda Pivano,
Mondadori 1965). È questa lAmerica che la
«Vecchia Europa» ama: la voce di tutti coloro che
hanno messo in guardia lAmerica dalla sua grandezza, e che
per questo lhanno fatta grande altrimenti. È
lAmerica della Long Island che accoglieva gli emigranti
provenienti da unEuropa che non riusciva più a
sfamarli, e che li accoglieva mettendo in pratica gli ideali di
uguaglianza che la «Vecchia Europa» aveva inventato
ma che non sapeva mettere in pratica; lAmerica degli uomini
che vennero in Spagna a combattere il franchismo; lAmerica
che scese in guerra contro il nazi-fascismo spuntandola
sullaltra poderosa America, quella reazionaria che guardava
con simpatia a Hitler e Mussolini. Il missilistico presidente
texano non ha capito che, comunque sia, la «Vecchia Europa»
ama lAmerica di Hemingway, di Salinger, di Joseph Heller,
di Noam Chomsky, di Susan Sontag, di Woody Allen, di Oliver
Stone, di Sidney Pollack, di Robert Redford, di Sean Penn, del
New York Times, del Watergate, del Premio Pulitzer, di Bob
Dylan, di Joan Baez, di Louis Armstrong, di Chet Baker, di
Pollock, di Hopper, di Richard Avedon - ma la lista sarebbe
infinita: quellAmerica che George W. Bush detesta, che
appartiene allEuropa e al mondo e nella quale ci sentiamo
tutti americani. Questa è lAmerica della
civiltà. La «nuova civiltà» a cui
pensano George W. Bush, la petroliera Condoleezza Rice, il disco
rotto Colin Powel, il mitragliere Rumsfeld, gli oscuri personaggi
che lavorano nei sotterranei della Cia, questo «nuovo»
non è altro che un vecchio arnese degno di «revenants»,
di zombie ritornati in circolazione. Hanno qualcosa di riciclato,
per noi europei sono terribilmente stantii, vecchi decrepiti. Le
poesie che gli si addicono sono Zung Tumb Tumb, la
descrizione fonosimbolica della guerra del Cavalier Marinetti
oppure gli scoppi del Bombardamento di Tripoliche tanto
eccitavano i suoi versi. Ma perché Mister Bush non
segue il consiglio di Allen Ginsberg, lui e la sua bomba
atomica?
L'Unità
on line 22/02/2003
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