Di
nuovo lagosto, un altro agosto, che si somma agli agosti
trascorsi (più che primavere, molti agosti), con gli anni
che si succedono implacabili per me come per tutti, e che ad ogni
agosto, almeno per me, portano implacabilmente un senso di colpa
per una colpa che non è mia, verso una persona che da
molti anni, troppi, passa i suoi agosti in una cella o
nellassolato cortile di cemento di un carcere. Adriano
Sofri. Un uomo per il quale molti cittadini italiani attendono la
grazia, invocano la grazia, e che invece pare diventato la pedina
di un gioco di scacchi insensato che la politica italiana ha
inventato per sadismo, come se egli fosse un ostaggio il cui
prezzo tutti sarebbero pronti a pagare, apparentemente, solo che
non hanno liquido disponibile. Nelle vene. Anzi, non hanno linfa.
Nella testa. Nei testicoli. Dentro il loro corpo scorre una
sabbia polverosa, eventualmente sostanze non identificate.
Facciamolo
penare ancora un po, sembra che si dicano, non si è
ancora pentito. Già, ma di cosa? E poi, perché
deve pentirsi proprio lui? Non gli basta il pentito
sulla cui unica parola la Giustizia ha fondato il suo giudizio
definitivo? Un pentito ce lavete, signori, verrebbe voglia
di dirgli, ed è stato ben ricompensato del suo
pentimento, pentimento avvenuto prima che si pentisse
davvero, nottetempo, per un mese intero, in una caserma dei
carabinieri. Non basta? Chi ha potere di farlo non vuol firmare
la grazia a Sofri.
Ebbene,
chiamate Leonardo Marino, fatevi firmare una grazia come
prestanome. Chissà che nel frattempo non si sia davvero
pentito di essersi pentito. Anche lui ha dei figli,
dopo tutto. Il senso di colpa di essere al mare, dagosto,
mentre qualcuno che sarebbe tempo che fosse liberato bolle sul
cemento. Che sarebbe tempo fosse liberato perché non è
comprensibile che sia stato imprigionato. Perché la parola
di un pentito non è una prova, e la negazione della
revisione del processo è la controprova di una prova
mancante.
Senso
di colpa assurdo, certo. Ma anche senso di vergogna. E anche
la vergogna non è mia. È dellItalia. È
dei suoi caporali. Non uomini, caporali. Questa Italia
idiota, meschina, arrogante, volgare, razzista, pavida, serva,
cattiva, kitch, patriottarda o secessionista, fatta di ministri
incolti, di ometti prepotenti e sgrammaticati, di crocifissari
che però praticano riti celtici; questa Italia rozza,
polentara, che non è mai andata allestero, che si
dichiara americana, ma che in realtà odia lAmerica
perché odia i valori della democrazia e della cultura
americana, odia Lincoln, Kennedy, Luther King, Whitman, Norman
Mailer, Philip Roth, Kerouak, Susan Sondag; ama Bush, il
klu-klux-klan, il segregazionismo, i cowboys che sterminarono gli
indiani, i pistoleros, le armi tenute nel comodino della camera
da letto, il fai-giustizia-da-te; lItalia per la quale i
vecchi nazifascisti come il maresciallo Graziani che fucilavano i
civili guidando le SS sono i ragazzi di Salò
che poverini fecero la scelta sbagliata ma amavano la patria;
lItalia dove dei giornalisti improvvisatisi scrittori
attribuiscono i massacri ai partigiani che liberarono lItalia
dalla Bestia fascista. LItalia qualunquista,
piccoloborghese, dei signori per bene che vanno a messa con la
consorte impermanentata e che ricevono bustarelle, lItalia
corrotta, bizantina, compromessa. LItalia del compromesso,
soprattutto con se stessa.
Come ascoltare il canto delle
cicale in questo agosto senza avvertire le voci dei morti per
stragi che reclamano giustizia? Come fare la siesta senza vedere
sul soffitto, fra le strisce di luci ed ombra che le persiane
disegnano, le incerte figure di coloro che morirono e non si sa
ancora il perché? E nel silenzio del meriggio sentire il
silenzio assordante di un prigioniero che tace perché ha
la dignità di tacere e del quale avverto soltanto il passo
leggero monotono circolare sul cemento di un cortile carcerario?
Il
collettore pre-scelto delle ignominie del Bel Paese, il capro
espiatorio grazie al quale lItalia crede di aver fatto il
lifting alla propria coscienza avvizzita. Sofri mio rimorso,
mio rimorso di tutti noi.
Antonio Tabucchi
L'UNITA' 10/08/2004
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