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Tutti a destra |
Gli
strateghi della Sinistra italiana sono già al lavoro per
trarre lezione dalle presidenziali americane. Il primo ad
esprimere la sua riflessione è Massimo D'Alema, che in
un'intervista a Repubblica del 4 novembre sostiene che
dobbiamo sforzarci di comprendere la nuova destra, e
che con certe forme di radicalismo, che un tempo avremmo
definito piccolo-borghese, non si va da nessuna parte. E
qui c'è una tirata d'orecchie a Michael Moore, e l'invito
di guardare al centro (o al limbo) come
possibile area di consenso onde pescare voti. Nella recente
(garbata ma acuminata) polemica fra due importanti opinionisti
italiani, uno di sinistra, Eugenio Scalfari, e l'altro di destra,
Giovanni Sartori (benché di una destra civilissima,
democratica e anti-berlusconiana), Massimo D'Alema si schiera
nettamente col pensiero di Sartori, il quale sostiene che la
Sinistra per vincere dovrebbe pescare al centro (o nell'area dove
pesca tradizionalmente la destra). Qualcuno mi dovrà
spiegare un giorno quale interesse può avere a far vincere
la Sinistra con i propri consigli una persona che in un paese
democratico normale siederebbe comechessia nell'emiciclo
parlamentare della destra. Straordinario poi lo zelo dell'oldcon
Galli Della Loggia nell'elargire, ancora ieri, i suoi consigli
alla Sinistra su come seguire le sue orme per diventare una vera
destra. Non capisco perché li sprechi a manca quando
potrebbe darli a dritta. Fini e Buttiglione ne farebbero tesoro
per essere presentabili in Europa. E qualcuno mi dovrà
spiegare anche il contrario: come mai, quando la Sinistra era al
governo, a nessun uomo di sinistra è mai venuto in mente
di consigliare Berlusconi, se volesse vincere le prossime
elezioni, di fare una politica di sinistra. Ma
ve lo immaginate il partito democratico americano che mette al
bando intellettuali come Susan Sontag, Norman Mailer, Noam
Chomsky, Michael Moore o tutti gli artisti dello spettacolo che
hanno scoperto le carte di Bush, i suoi interessi nel petrolio,
gli affari in comune della compagnia di suo padre con la famiglia
Bin Laden, la buia e reazionaria ideologia di cui si è
fatto portatore, insomma tutto ciò che uno sfidante non
poteva includere nel suo programma elettorale né nei suoi
dibattiti televisivi? Perché (e qui sta il nocciolo che mi
pare non sia stato individuato da Massimo D'Alema allorché
parla di una nuova destra da guardare con attenzione per capirla
meglio), con Bush ha semplicemente vinto John Wayne, e la
nuova-destra è solo l'invenzione di pochi
consiglieri che circondano George Bush e che coagulano e
raccolgono le idee e le istanze della pancia di un'America di
destra che di nuovo ha molto poco, perché è una
destra vecchia come il cucco. È la destra
dell'intolleranza, del bigottismo, della ruralità, del
cattolicesimo e del protestantesimo fondamentalisti: una destra
che viene dritta dall'Ottocento, e basterebbe leggere i grandi
scrittori americani per ritrovarvela spiccicata. È la
destra del Velo nero del pastore di Hawthorne, del Billy
Budd di Melville, della Bibbia presa alla lettera che soffocò
Emily Dickinson, della rigidità puritana contro cui si
alzò la poesia di Withman. Altro che radicalismo
piccolo-borghese: in America hanno vinto le classi meno
illuminate, le masse più incolte, insieme alla borghesia
più ricca e più favorita dalle guerre di Bush. E
alla citazione di Gramsci di cui D'Alema si serve (La
chiave dell'egemonia sta nel capire le ragioni degli altri)
si potrebbe opporre un'altra citazione di Gramsci che mi pare più
appropriata alla situazione americana: cioè che le
masse sono un serbatoio di reazione, e concludere che le
ragioni degli altri, cioè di queste masse che
hanno votato per Bush, le abbiamo capite fin troppo bene. Ma ho
l'impressione che il panorama della nostra Europa non sia
esattamente quello americano. Un tale serbatoio
reazionario, escluse delle macchie di leopardo come certi
paesi nuovi membri (e attualmente il nostro), in Europa non lo
vedo. A Bruxelles non si chiede che Dio benedica l'Europa, non si
prevedono guerre di religione, e si rimandano a casa aspiranti
commissari con idee da congresso di Vienna. Del resto Zapatero
non ha vinto le elezioni per aver promesso al suo elettorato una
politica vicina a quella di Aznar, ma una diametralmente opposta,
che sta puntualmente mettendo in pratica.
Antonio Tabucchi IL MANIFESTO 07/11/2004 |
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