Di
una cosa ero certo: che io potevo vederli, ma non potevo essere
visto. Cera qualcosa che mi nascondeva al loro sguardo, una
sorta di diaframma o di schermo che non riuscivo bene a
decifrare, che mi proteggeva dalla loro vista. Eppure avevo la
sensazione di essere esposto in piena luce, seduto in prima fila,
come a teatro. E da quella prima fila potevo osservarli. I loro
gesti mi giungevano nitidi come lodore che i loro corpi
emanavano. Era un odore greve e dolciastro, lo stesso che avevo
avvertito in un anno ormai lontano quando, in un obitorio di una
cittadina di un Paese straniero, ero dovuto andare a riconoscere
il cadavere di un mio amico naufragato con la sua barca. Era uno
spettacolo, di questo ero certo. Ma quello spettacolo era
rappresentato in tutta la sua nuda verità, ed era vero
perché era più vero del vero. La scena si svolgeva
sulle banchine di un porto di una città mediterranea,
illuminata da un sole meridiano che conferiva alla scena quella
luce allarmante che hanno certe fotografie sovraesposte. Al molo
era attraccata una nave dacciaio, certamente da guerra,
misteriosa e minacciosa come la corazzata di un vecchissimo film.
Era ornata da cannoni e da una bandiera di tre colori che garriva
al vento. Linquietudine si è impadronita di me.
Qualcosa di turpe, lo sentivo, stava per succedere. E percepivo
anche che tutto ciò non era reale, era frutto della mia
fantasia lasciata allo stato libero come quando si sogna. Mi sono
detto: perché vogliono che io sogni questo sogno? Chi mi
obbliga a sognare? Mi sono detto ancora: devi svegliarti, non
puoi tollerare che ti si obblighi a sognare un sogno che non vuoi
sognare, costoro si sono insinuati nella tua anima, vogliono
impadronirsi di te. Mi sono dato un pizzicotto, come si fa per
svegliare un dormiente, ma non ho ottenuto nessun effetto. Dunque
non stavo sognando, era vero. Mi sono rassegnato: lo spettacolo a
cui ero invitato non era un mio sogno, era vero davvero. Sul
molo che vedevo dalla mia finestrella, seduto comodamente sulla
mia poltrona al riparo da sguardi indiscreti, è apparso il
volto di un uomo con aria trionfale. Un liquido oleoso gli
scendeva dai radi capelli e gli irrorava le guance, rendendolo
lustro sotto i raggi di un sole che forse era artificiale.
«Buonasera, ha detto con voce melliflua, sono il dottor
Melanoma, ogni mio servizio è un servizio ai Servizi, e
così preferisco chiamarmi per quella natura sarcomatica
che vuole la mia funzione di Officiante, di questa solenne
riunione nella quale saranno decise le sorti del nostro
villaggio! Il dio Caprone, di cui siamo gli umili servi, oggi
raduna qui le sue folle veneranti. Che la processione cominci!».
A quel punto sono risuonate nellaria le note di un inno
marziale. Un grande coro, anzi, un vocìo, accompagnava
quella musica pomposa. Ma era impossibile distinguere nitidamente
tutte le parole. Si coglievano solo spezzoni qua e là,
come sintagmi isolati di una litania: «Guerra, guerra,
guerra». E poi altre parole sussurrate, sillabe alate,
incompiute, monche: «Arti amputati - ah, ah, ah - corpi
dilaniati - ah, ah, ah - teste maciullate - ah, ah, ah - sangue,
sangue, sangue». Il corteo è apparso in fondo al
molo, avanzando. Lo guidava una sinistra figura che incuteva
terrore nellaspetto. Era un uomo obeso, dai capelli
scarmigliati e le guance arrossate. Il suo ventre enorme
terminava sugli inguini, che poggiavano su una piccola
piattaforma di legno sotto la quale erano state disposte quattro
piccole ruote. Quella tavoletta era il suo mezzo di locomozione,
che il grassone guidava e manovrava aiutandosi con le mani sul
terreno. Sul suo carrello improvvisato svettavano due vessilli.
Su uno cera scritto «I combattenti e i reduci delle
guerre di civiltà». Sullaltro, un foglio di
carta straccia tutta macchiata, recava la frase: «Gli amici
di Adriano». La mia memoria sognante ha associato quel nome
a un libro che mi è caro, perché di Adriano conosco
le memorie, ma poi, nellinconsapevolezza lucida del sogno,
ho capito il mio equivoco. Ho sentito un brivido nella schiena e
ho pensato: non si riferiscono a un imperatore, stanno parlando
di un prigioniero, cosa centra lui, perché usano il
suo nome?, è un innocente condannato a vita, e la
«rogatoria» che lo ha inchiodato, la parola
improbabile di un pentito era priva di qualsiasi bollo di
garanzia. E poi ho pensato: vigliacchi, fa comodo a tutti che
resti in galera. Il capogruppo ha estratto da una tasca una
bandiera piena di stelle con la quale ha avvolto il suo
moncherone obeso e ha gridato: «Avanti, eroi, per la
polvere di stelle!». Dietro di lui avanzava una figura
femminile che gridava come unerinni: «Sono sua
moglie!, sono sua moglie!, noi abbiamo insegnato agli Italiani,
con la verità degli schermi televisivi, come si pratica il
sesso». Ho cominciato ad aver paura. E a quel punto è
scoppiata la musica: unorchestrina di fiati, dietro di lui,
ha intonato un celebre swing: Star dust, polvere di
stelle. Ho guardato meglio. Erano dei musicanti che parevano
uscissero da una fiaba dei fratelli Grimm, con unaria di
saltimbanchi pezzenti. Colui che suonava il trombone era un uomo
lungo e allampanato, che negli intervalli del suo fiato
sussurrava rivolto al moncherone: «Sei il più
intelligente, per questo noi gente veniamo con te». Gli
altri strumentisti, dotati di flauti, clarinetti, cornette e
trombette, avevano tutti decorazioni sul petto e cartelli
infilati nel collo che indicavano le loro alte funzioni. Poi dal
gruppo si è staccato un individuo dallaria superba e
dallo sguardo gelido, vestito con un abito elegantissimo. Si è
diretto verso un uomo vestito di un impermeabile di cuoio nero
che li osservava sulla destra del molo e che teneva in mano una
pistola e un rotolo di dollari. «Le ho portato le foto
segnaletiche di tutti coloro che stanno dalla parte del nemico»,
ha detto in tono beffardo luomo dallelegante vestito
grigio, finalmente questo Paese è libero di denunciare i
traditori». Poi si è girato verso il mio punto di
osservazione, e per un attimo ho pensato che si rivolgesse a me,
che mi avesse scoperto, anche se probabilmente si rivolgeva al
suo pubblico. La sua voce, con tono metallico, scandiva frasi
pronunciate con una sintassi italiana elementare. «Se tu mi
avessi riconosciuto - ha sibilato - attento a fare il mio nome,
sai, potresti ricevere visite nella tua abitazione, qualche
grammo di polverina bianca sparsa qua e là portata dai
nostri bravi agenti, non fare lo sciocco, amico, scrivi romanzi e
basta, noi saremo tolleranti se ti comporterai bene».
Dietro di lui venivano altri ometti in doppiopetto. Avevano il
volto minaccioso e il braccio steso in avanti, con il palmo della
mano aperto sul quale cera scritto con linchiostro:
«Ministro della Repubblica». Solo a quel punto mi
sono accorto che tutti i componenti della processione avevano
delle protesi artificiali: chi con una gamba di legno, chi con
delle braccia di metallo, chi, ormai privo di braccia e gambe,
agitava nellaria con fare esultante arti artificiali di
acciaio lucente. Ciascuno di loro portava sul bavero della giacca
un cartellino con scritto «Reduci dalle guerre della
civiltà», mentre un vecchietto bonario, vestito da
chierichetto, li benediceva con un aspersorio. E a quel punto
il tronco amputato del grassone ha gridato: «Che il Sabba
cominci! Dio salvi la civiltà, la civiltà che per
tutti questi anni abbiamo imposto nel mondo, quella nostra,
quella vera, quella per la quale i nostri servizi si sono
adoperati a disprezzo delle proprie vite e soprattutto delle vite
altrui, quelle vite che per fortuna abbiamo rinchiuso negli stadi
in Cile e gettato dagli aerei nei mari dellArgentina». La
musica è salita di intensità, come colta da una
frenesia. Il corteo di sciancati, i poveri reduci da tante
battaglie, che hanno vissuto tutti questi anni nellindigenza
e nella penuria, è finalmente esploso in una danza
carnevalesca animata dalleuforia panica di chi capisce che
è ancora vivo, di chi possiede ancora un sangue robusto
che irrora le sue protesi. E mentre il sabba raggiungeva il suo
spasimo in un pandemonio di voci urlanti e di corpi dimenanti, un
cane ha furiosamente abbaiato nelle tenebre che erano cadute
sulla scena, ma soprattutto ha attraversato i miei timpani la
voce gracchiante di una strega dal volto incartapecorito e
lascivo che gridava con giubilo: «Abbracciamolo, a
prescindere, abbracciamolo, a prescindere». La nausea è
stata più forte del sogno, ho avuto un sobbalzo e mi sono
svegliato. Era notte fonda, e dallo schermo del televisore
giungeva solo quella polverina elettrica di quando le
trasmissioni sono finite. Ah, era stato solo un incubo, un
terribile incubo. Per fortuna mi ero svegliato alla realtà:
intorno a me cera solo lItalia di oggi.
Nota
A mo di autocertificazione (pratica ancora consentita) e
prima che lo faccia qualche giornale in stretto rapporto con i
servizi segreti o qualche psicoanalista chiamato da trasmissioni
televisive, vorrei fornire le fonti principali di questo
sogno: 1.Retrospettiva Goya, in mostra in questi giorni al
Museo del Prado di Madrid. La mostra riunisce per la prima volta,
oltre alle opere del pittore spagnolo presenti al Prado, numerose
opere appartenenti a musei stranieri. Particolare attenzione è
dedicata alle opere più cupe e dissacratorie come I
disastri della guerra e i quadri sui roghi dellInquisizione
e sui sabba che in quellepoca popolavano la vita e
limmaginazione delle persone. 2. Francisco Goya, El
libro de los Caprichos, a cura di Javier Blas, Josè
Manuel Matilla e Josè Miguel Medrano, Ediciones del Museo
del Prado, Madrid 1999 (si tratta della riproduzione in
anastatica, con ampio apparato critico, dei Caprichos di
Goya il cui lemma, che si è imposto nel tempo come
emblema, è: «Il sonno della ragione genera
mostri»). 3. Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una
decifrazione del Sabba, Einaudi 1989. 4. Una trasmissione
televisiva di Rai2 dedicata allortopedico italiano Alberto
Cairo che da anni opera a Kabul e che finora ha costruito e
istallato nei corpi degli afghani, 40mila protesi di gambe e
braccia amputati dalle bombe e dalle mine. 5. Un talk-show
televisivo della Rai in onda tutte le sere. 6. La
manifestazione a favore dei bombardamenti sullAfghanistan
organizzata dal direttore del giornale Il Foglio, Giuliano
Ferrara, con la partecipazione di Silvio Berlusconi e delle forze
di governo, e trasmesso in diretta dalla Rai. 7. Svariati
telegiornali di Mediaset e della Rai. 8. La grande maggioranza
dei quotidiani italiani, alcuni dei quali sostenuti dal denaro
dei contribuenti. 9. Giorgio Boatti, Preferirei di no.
La storia dei dodici professori universitari che si opposero a
Mussolini, Einaudi 2001; Mimmo Franzinelli, Delatori. Spie
e confidenti anonimi. Larma segreta del regime fascista,
Mondadori 2001. 10. La bozza di progetto di uno stato
poliziesco elaborata recentemente dal ministro Frattini. 11.
Il nostro inconscio, al quale il governo Berlusconi non ha ancora
esteso alcuna legge.
Antonio Tabucchi (copyright
lUnità e El País Internacional)
L'UNITA' 08/12/2001
|