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CINEMA

Tarantino: “Vi terrorizzo perché la vita è crudeltà”

Anche se il suo cuore batte per “Il buono, Il brutto e il cattivo”, che resta il suo film preferito, Quentin Tarantino parla di un cinema italiano ormai agonizzante. Presentando “Hostel”, nuovo film di Eli Roth, con scene raccapriccianti e di inaudita violenza, al punto da scatenare già polemiche, prima ancora dell'uscita americana che avverrà subito dopo il 6 gennaio.

La trama è inquietante: due turisti americani vengono in Europa alla ricerca di sesso facile e finiscono nella Repubblica Slovacca, convinti di trovarne. Invece, in un lurido scantinato scopriranno l'orrore più cupo. E tarantino parte dal nostro cinema per spiegare la sua veste di produttore in “Hostel”.

C'è un italiano con il quale vorrebbe lavorare?

Non conosco quelli di oggi, forse perché la vostra industria cinematografica non esiste quasi più. Potrei fare i nomi dei grandi registi del periodo giallo, degli “spaghetti western”, dei film di mafia. Penso a Lucio Fulci, Alberto Lenzi, Dario Argento, Sergio Leone. Due anni fa ero al Festival di Venezia., dove hanno proiettato “Orgasmo” di Lenzi che alla fine ha regalato anche un colpo di scena. Il film è stato girato nel 1969 ma riesce ad appassionare il pubblico trent'anni dopo.

Cosa le piace di “Hostel”?

Eli Roth era a casa mia, in piscina, e parlavamo di progetti futuri. A quel tempo gli Eli proponevano solo remake: “La casa delle cere” per esempio e roba del genere, ma lui aveva già in mente quello che poi è diventato “Hostel”. Da quella conversazione ha preso molte ispirazioni e in poco più di due settimane ha scritto il copione. Roth è il regista che l'Horror aspettava da anni.

Il suo compito quindi è stato ispirarlo nel suo lavoro?

Più che altro ho lavorato un po' al copione. Se ritenevo opportuno aggiungere qualche battuta, lo facevo. Il mio contributo però è stato minimo. “Hostel” è una creazione di Roth al cento per cento. Anche nel montaggio ho suggerito soltanto qualche taglio.

Parlando dei suoi film, qual è il dialogo di cui è più orgoglioso?

Senza dubbio il monologo siciliano in “Una vita al massimo” di Tony Scott fra Cristopher Walken e Dennis Hopper” e poi naturalmente quello di Samuel Lee Jackson in “Pulp Fiction”.

Da dove viene la sua passione per la violenza grafica e per la tortura?

Non ho una passione per la tortura in sé ma per le situazioni che hanno un impatto emotivo sul pubblico e che gli procurano piacere e dolore. Questo è il punto: far ridere lo spettatore, poi terrorizzarlo, quindi farlo ridere di nuovo magari dopo averlo spinto all'inferno. La violenza nei film, d'altronde, non è pura invenzione: tutti sappiamo quello che succede in certi paesi del terzo mondo e il fatto che “Hostel” sia ambientato in Slovacchia, nella terra di confine senza i comfort dell'occidente, non è un caso. I due ragazzi americani, protagonisti del film, vogliono una vacanza di sesso, immaginano festini a Barcellona, a Parigi ma ad espellerli, in una cittadina sperduta della Slovacchia, ci saranno invece torture e dolore.

Qual'è l'esperienza più paurosa e violenta che ha avuto nella sua vita?

All'epoca abitavo a Korea Town, Los Angeles, stavo aspettando l'autobus e accanto avevo un transessuale. Dietro di lui, all'improvviso, è apparso un ragazzino con una mazza da baseball: voleva colpirlo. La paura mi impediva di dire qualunque cosa. Il transessuale si è girato di colpo e gli ha detto: “Non lo fare sono un poliziotto, ti sbatto in carcere”. Ho cominciato a correre, il transessuale anche, correva dietro di me e il ragazzino dietro di me e io ragazzino dietro a tutti e due. E' una scena paurosa e divertente allo stesso tempo: ha tutto gli elementi che cerco di usare nei miei film.

C'è qualcosa che non ha fatto e che vorrebbe fare?

Parecchie. Un mio spaghetti-western, per esempio, mi sarebbe piaciuto anche in “Casino royale”. Ero arrabbiato con i produttori, non avrebbero mai girato questo film se io non gliene avessi parlato. Le cose sono andate così: io ho proposto l'idea, Pierce Brosnan era interessato a lavorarci, i fans volevano vedere quel film. Ora lo stanno producendo. Almeno avrebbero dovuto avere la cortesia di prendere un caffé con me e invece niente.

Intervista di Andrea Carugati – IL SECOLO XIX – 31/12/2005

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