Intervista
con Alex Tse, sceneggiatore 28enne di Sfc
cresciuto a suon di rap nella Bay area
Per quelli di
Hunter point, la sua colpa maggiore è di aver raccontato
il quartiere senza esserci nato. Per lui, Alex Tse, sceneggiatore
28enne che ha realizzato con Sucker free city il suo primo
progetto, non importa dove sei nato, se cresci a San
Francisco non puoi chiudere gli occhi su certe realtà.
E gli occhi, mentre adolescente tornava a casa in autobus
attraversando la città fino al distretto residenziale di
Richmond, Tse li ha tenuti aperti. Tanto da volerla raccontare,
quella città, nei suoi angoli non-visti, anche quando
parecchi anni dopo si è trasferito a Los Angeles per fare
cinema. Dopo molti lavori ai piani bassi di Miramax e Disney e
molte sceneggiature chiuse nel cassetto, Showtime lo ha notato
per lo script di 87 Fleer, storia di quattro ragazzini
middle-class ambientata nel suo quartiere d'infanzia. Quello
che era piaciuto a Showtime - dice Tse - era che i ragazzini di
Fleer erano figli di buone famiglie della media borghesia,
che però sceglievano la cattiva strada. Mi hanno chiesto
di lavorare su dei personaggi di questo tipo, solo di un'età
maggiore. È nato così Sucker free city,
originariamente intitolato The game, fino al giorno
- ci racconta Tse al telefono - in cui Spike (fortissimamente
voluto da Showtime dietro alla macchina da presa del film, ndr)
è arrivato mostrandomi una lista infinita di titoli che
già contenevano la parola game.....
L'immagine
di San Francisco che emerge da Sfc è
molto lontana da quella di città europea e
progressista all'ombra del Golden Gate. Che modelli
cinematografici ti hanno ispirato nella scelta di questo punto di
vista?
Non posso dire di ricordarmi altri film o
telefilm che abbiano catturato la complessità della street
culture di San Francisco, e questa è una delle ragioni
perché questo progetto era così importante per me.
In molti film San Francisco ha rappresentato semplicemente uno
sfondo per la storia, piuttosto che l'elemento catalizzatore
della storia stessa. Per esempio mi piace molto il lavoro fatto
da Wayne Wang in Chan is missing, ma non ha niente a che
fare con la street culture della città.
Dal
film viene fuori una città dai profondi squilibri
socioecomici. Come si vive oggi a San Francisco?
Scoppiata
le bolla della new economy, l'imborghesimento dei quartieri
proletari è rallentato, ma il valore degli immobili non si
è abbassato. Molte persone delle classi più povere
sono state sfrattate dai loro quartieri, e per quelle che
rimangono il gap economico con le classi ricche si allarga sempre
di più.
Spike Lee è un regista dal dna
newyorkese. Come si è avvicinato a San Francisco?
Spike
si è avvicinato alla città con occhi e braccia
aperte. Ha cercato di calarsi completamente nella realtà
dei suoi quartieri per farne un ritratto accurato come quello che
sempre fatto di New York. E credo che ci sia riuscito.
Perché
la serie non è stata prodotta?
Non lo so
esattamente, bisognerebbe chiederlo a Showtime. Dopo la
realizzazione del pilot, per un certo periodo mi hanno chiesto di
scrivere una mini-serie, poi, quando il progetto non è
andato in porto, mi hanno chiesto di scrivere un altro film che
fosse la conclusione del pilot. Ma per me questo percorso non
funzionava dal punto di vista creativo. In America, dopo la messa
in onda del pilot, la risposta del pubblico e della critica è
stata ottima, nonostante ci fosse stata pochissima promozione. Ma
uno dei problemi che abbiamo avuto nel trovare i soldi per
realizzare una serie da Sfc è stato che gli studios
non ritenevano che il progetto potesse essere venduto all'estero.
Pensavano che fuori dagli States non ci potesse essere un
pubblico interessato alle vicende delle street gangs americane .
Direi che, forse, già il fatto di star facendo
quest'intervista confuta questa teoria. Oggi, comunque, la
risposta del pubblico straniero è diventata sempre più
importante nella produzione delle serie televisive.
Nel
tuo film l'unico portatore di una coscienza storico-politica è
il padre di Nick, mentre per il figlio e i suoi coetanei non
sembra esserci nessuno spazio per una coscienza...
Mi
sembra che le giovani generazioni americane siano meno
consapevoli e più apatiche rispetto a quelle che le hanno
precedute, ho la sensazione che tutta la loro passione sia
assorbita più dall'ammirazione per le pop star che dalle
cause civili o dallo sforzo di formarsi una consapevolezza
politica. Credo che l'11 settembre e la guerra in Iraq abbiano in
qualche modo risvegliato la coscienza dei più giovani, ma
anche il dissenso può ridursi a mera retorica. A molti
giovani non piace Bush, ma questo non è sufficiente.
Dovrebbero maturare una maggiore consapevolezza delle ragioni del
dissenso e non ridurlo alla mera ripetizione di quello che hanno
sentito dire da attori, rapper e rock star.
Nel corso
della serie avevi immaginato dei cambiamenti nelle vite di Nick,
Lincoln e K-Luv? Avresti dato loro una chance?
Credo
che alla fine del pilot sia noi che il pubblico credevamo che ci
sarebbero stati dei cambiamenti nelle vite di questi giovani
uomini, ma che questi cambiamenti non li avrebbero
necessariamente salvati dal loro destino. Penso
comunque che uno dei motivi per cui il pubblico si sarebbe potuto
appassionare alla serie era la speranza per questo
cambiamento.
Prima di diventare sceneggiatore sei stato
produttore di dischi rap, e nella colonna sonora di Sfc
ci sono molti brani di rapper della Bay area come Jt The Bigga
Figga, San Quinn, Rbl Posse, Rappin 4-Tay. Che caratteristiche la
scena rap di San Francisco rispetto a quella più nota di
Los Angeles?
Sono cresciuto sentendo i dischi di
questi rapper e il fatto che la loro musica fosse nel film era
essenziale per raccontare la gang culture nel modo più
autentico. La scena rap di Los Angeles è molto diversa da
quella di San Francisco, è una realtà molto più
ampia, con molte più gang e più quartieri. San
Francisco e l'intera Bay area hanno uno slang differente e un
sound diverso, che possiamo definire più meticcio.
Intervista di Irene Alison
IL MANIFESTO 09/10/2005
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