Parla a raffica
John Turturro, voce morbida, le parole che scivolano una dopo
l'altra. Napoli, teatro Mercadante. Turturro sta provando Souls
of Naples (Questi fantasmi!) con la regia di
Roman Paska, (debutto il 25 fino al 29) dal testo di Eduardo De
Filippo. Un incontro che è subito scintilla d'attore,
specie a Napoli, dopo la «prima» lo scorso aprile a
New York, nei luoghi di Eduardo e nel ruolo del protagonista,
Pasquale Lojacono, che fu dello stesso De Filippo sessant'anni
fa. Ma Turturro è attore di tecnica istintiva, capace di
passare dallo slang dell'italoamericano arrogante e razzista come
lo volle Spike Lee in Jungle Fever (91) al parlare
dell'evaso nel Mississippi della Grande depressione di O
Brother where art thou? (Fratello dove sei? 2000) dei
fratelli Coen, i registi che sullo schermo più spesso lo
hanno preso come complice nelle loro magnifiche inversioni di
immaginario. Nella sua fitta filmografia (oltre sessanta film)
gli ultimi titoli sono l'ancora inedito Quelques jours en
septembre, e The Good Sheperd (in post produzione) che
lo vede accanto a Robert De Niro, un quasi ritorno-alle-origini
visto che proprio con De Niro Turturro esordisce su schermo poco
più che ventenne (e neppure accreditato) in Toro
scatenato (1980). «Siamo amici di vecchia data»
dice liberando un sorriso. Complicità italoamericana,
Brooklyn dove Turturro è nato nel 57, la famiglia che
arrivava dalla Sicilia, Palermo e dintorni, padre muratore e
madre cantante jazz, due anime fuse nella corda obliqua del
recitare. Mac (90), il primo film da regista, lo racconta
in canottiera e sigaretta a tirare su mattoni giorno e notte.
Lavoro senza respiro come il padre, e quella classe operaia
italoamericana invisibile che invece Turturro sa «usare»
destabilizzando lo stereotipo di mafia&spaghetti. Anche il
protagonista della sua nuova regia per il cinema
Romance&cigarettes (esce a marzo) è un
proletario diviso tra la tranquillità con la moglie (Susan
Saradon) e la passione per la giovane amante (Kate Winslet). Nel
precedente Illuminata invece c'era il teatro, Scarpette
rosse, Bergman e Shakespeare come variazione ancora sugli
italoamericani ... Il teatro è alle mie origini, mi
piace molto anche se a Broadway non si diventa ricchi ... .
De Filippo dunque, e l'Italia dove pensa di girare il prossimo
film. L'incontro con Questi fantasmi! è avvenuto
anni fa, quando Turturro era sul set della Tregua.
Francesco Rosi vedendolo recitare lo ha subito immaginato come
Pasquale Locajono. Forse è quella sua aria stralunata,
come uno pensa sia il personaggio di Eduardo innamorato della
giovane moglie che lo tradisce spacciando gli amanti per
fantasmi.
Dalla prima lettura di Questi
fantasmi! cosa è poi accaduto?
Ho
colto subito la bellezza della commedia di Eduardo rendendomi
anche conto che la traduzione inglese era molto riduttiva, non
sapeva renderne l'umorismo, l'emotività. Fino a allora non
avevo mai letto un intero suo testo, e mi sembrava importante
farlo arrivare anche al pubblico americano. Nei nostri teatri
questa cultura è quasi sconosciuta, si preferiscono
Shakespeare, Beckett , i classici ma Eduardo... Il fatto che a
New York lo spettacolo sia andato bene dimostra che il pubblico
c'è anche per questo. Parlando con un vecchio amico
abbiamo pensato per la regia a Roman Paska. Sa bene l'italiano,
ha esperienza di teatro pure se ha lavorato più spesso con
le marionette, infatti è stato direttore di un istituto
specializzato in questo a Charleville-Mezipres, in Francia. Il
testo di Eduardo gli è piaciuto e abbiamo iniziato il
lavoro. Nel frattempo siamo arrivati alla traduzione di Michael
Feingold su cui però siamo intervenuti anche io e Roman.
Il mio italiano è modesto ma sono un bravo adattatore. La
traduzione era molto buona e scritta bene ma da sè non
bastava, ci voleva un adattamento che restituisse la musica della
drammaturgia.
La presenza di attori tutti
italoamericani ha una funzione poetica?
In realtà
abbiamo pensato a una serie di attori con cui ci sarebbe piacuto
lavorare e che ci sembravano adatti alla storia. Aida (Turturro,
cugina di John ndr) è venuta in mente a me, e senza
che ne parlassi con lui Roman me l'ha proposta... Poi abbiamo
fatto delle audizioni, alcuni attori li conoscevamo già,
altri no, più dell'origine è stato importante il
feeling che c'era con ognuno di loro. Certo si era pensato a un
lavoro sull'accento ma forse a New York in modo minore rispetto a
quanto speriamo di fare qui in Italia.
Ha visto film
tratti da Questi fantasmi!?
No, ho
guardato solo materiali di repertorio. Preferivo concentrarmi sul
testo di Eduardo che è bellissimo. Il personaggio di
Pasquale è un sognatore che cerca di migliorare la realtà
con l'immaginazione. Anche se questo lo fa considerare un
irresponsabile.
La scelta di Eduardo riguarda il suo
lavoro sugli italoamericani?
Sì e no. Di fondo
c'è la spinta che per un attore è irresistibile a
confrontarsi con una commedia diversa. E soprattutto da non
italiano di affrontare un patrimonio fondante per la cultura e la
scena in Italia.
Questi fantasmi!
rimanda comunque al suo cinema, alla presenza di una working
class che lei ha imposto nella rappresentazione
dell'italoamericano.
Sono cresciuto in quell'ambiente,
e so per questo che può offrire materiale per moltissime
storie. Invece se ne parla molto poco, così quando ne ho
avuto la possibilità ho cercato di lavorarci, e ogni
particolare, ogni dettaglio di quanto racconto mi è
familiare.
È anche un universo che rovescia un
certo stereotipo.
John Fante, uno scrittore che mi
piace molto, usa continuamente questi riferimenti. Perciò
sono anni che cerco di fare un film il cui protagonista dovrebbe
essere Peter Falk da un suo racconto, Il mio cane stupido
(in Italia nella raccolta A ovest di Roma, Fazi). Un certo
mainstream però preferisce ignorare tutto ciò
preferendo generi più consolidati, l'immaginario degli
italoamericani è il Titanic e non gli operai morti per
costruire il ponte di Brooklyn. Eppure negli Stati uniti si è
capaci di fare i conti con gli stereotipi che etichettano la
rappresentazione dei diversi gruppi sociali. Se pensiamo agli
eccessi di stereotipo con cui Spike Lee nei suoi film mostra
african-american o italoamericani, si capisce che il punto di
vista può essere da qui capovolto.
È
difficile oggi lavorare su queste cose negli Stati uniti?
Tra
Hollywood e il resto ci sarebbero enormi possibilità
eppure montare film come i miei è terribilmente
complicato. Il punto è che nessuno vuole investirci, si
dice che non c'è pubblico anche se poi vanno bene. E il
problema è che limitando sempre più le proposte non
c'è crescita di un pubblico giovane fuori dal mainstream.
Intervista di Cristina Piccino
IL MANIFESTO 22/01/2006
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