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MUSICA

Il partigiano Venditti

C'è una toccante dedica al padre, un inno pacifista e una bisboccia fra amici, lui e De Gregori. Nel nuovo capitolo discografico Che fantastica storia è la vita, c'è un Antonello Venditti che si raccoglie e butta giù canzoni ispirate ritrovandosi d'un tratto meno ridondante, più ironico e soprattutto auto-ironico, come se la perfetta imitazione di Guzzanti di qualche tempo fa (ricordate Grande raccordo anulare?) gli avesse fatto scoprire meglio un lato di se stesso. E poi c'è ovviamente il Venditti romantico, che non manca mai, e si fa aiutare da un altro vecchio amico, Gato Barbieri, co-protagonista nella traccia che dà il titolo a questo nuovo disco del cantautore romano. Solito occhiale a goccia, solito pacchetto di sigarette e un tour, forse solo acustico, un ponte per il futuro.

Io e mio fratello”, con i fiati festanti arrangiati da Demo Morselli, è la canzone che celebra il ritorno della coppia De Gregori-Venditti. Un pezzo volutamente leggero dove vi prendete in giro a vicenda. Quanto vi siete divertiti?

Moltissimo. De Gregori è una delle sorprese della mia vita. Musicalmente ci eravamo persi da diversi anni, ma l'amicizia è intatta. Un Natale di due anni fa capitò a casa mia. Avevo un piano nuovo e lo volevo provare, così gli feci sentire la canzone che oggi dà il titolo al disco. Lui mi disse immediatamente che la voleva fare lui. Non gliel'ho data, ma ho capito l'importanza della canzone anche da questo, un pezzo universalista.

Come se la spassano due vecchi amici che hanno contribuito a scrivere la storia della musica cantautorale italiana?

Prendendosi continuamente in giro. Mentre De Gregori se ne andava in tour assieme alla Mannoia, Ron e Pino Daniele io li chiamavo il Quartetto Cetra. Allora lui ogni tanto mi telefonava da qualche città d'Italia e mi cantava: “non essere geloso, se con gli altri ballo il twist”...

Ti ha sorpreso l'accoglienza riservata all'ultimo disco di De Gregori con Giovanna Marini “Il fischio del vapore”?

Ne sono stato amichevolmente geloso. L'amicizia che Francesco vanta con Giovanna è la stessa che ho anch'io con lei. Lei è una di quelle figure chiave della musica italiana popolare che, come al solito, trovano cittadinanza soprattutto all'estero. Non ho quell'attitudine antropologica, da topo di biblioteca, che possiede De Gregori e non mi ci vedrei in un progetto del genere. Però sono contento che abbia seguito un mio consiglio: gli dissi che in tv avrebbe dovuto presentare Venezia, me la figuravo con il coro e loro due davanti come a rappresentare Il quarto Stato di Volpedo. E così è stato.

A proposito di tv, un tempo ti si vedeva spesso ospite da Santoro, oggi?

Mah, ci devo pensare...Certo di Santoro in tv si sente davvero la mancanza, di lui come di tutti gli altri uomini liberi come Biagi. Anche se devo dire che apprezzo un programma come Ballarò. Quello che mi fa paura davvero è l'epurazione sistematica. Ma il clima è quello, e con la legge Gasparri che stanno per approvare le cose non andranno che a peggiorare, il signore avrà altre tv e chi lo ferma? Il problema però non è solo Berlusconi: è tutto ciò che gli sta attorno, è una mentalità, quella del neocapitalismo.

Ti sei sempre dichiarato un uomo di sinistra: come ti collochi in questo periodo?

Aspetto che il nostro mondo, quello della sinistra vera, non quello di un centro allargato a sinistra, si accordi. Il leader è Prodi? Bene, allora aspettiamo Prodi. Ma credo che dovremmo essere in grado di trovargli un'alternativa, mi piacerebbe avere un'alternativa. Come mi piacerebbe veder cambiare la nostra legge elettorale che è imperfetta.

A chiusura del disco, c'è un divertissement niente male, “Il sosia”, ovvero le disavventure di un povero sosia di Berlusconi, che prende schiaffi ogni giorno suo malgrado...

Non posso dirti l'esatto aneddoto che mi ha ispirato a scrivere il pezzo altrimenti saltano fuori altri 15 milioni di euro di ammenda. Il sosia di cui parlo accetta di fare di tutto nonostante sia in disaccordo, tutto meno una cosa: andare al derby a fingere di tifare Milan, lui che è interista. E' un paradosso per spiegare i tempi: ciò che rimane nella nostra società è miseramente solo la bandiera di una squadra di calcio e tra un po', vista la deriva del mondo del calcio, neppure quella.

Ti sei schierato assieme ai firmatari dell'appello di Vasco Rossi contro la legge Fini sulla droga. Sembri aver ritrovato spirito “movimentista” negli ultimi tempi...

Certo, se non ci schieriamo ora quando lo facciamo? C'è una classe politica litigiosa che si è dimenticata che lo scopo principale è quello di rappresentarsi e che trascorre il tempo a inventarsi uscite assurde per mani di protagonismo. Nel frattempo passano leggi e provvedimenti che negli anni Settanta avrebbero scatenato vere e proprie rivolte!

Per fortuna non tutti stanno a guardare...

Certo, e mi ha fatto un immenso piacere partecipare al movimento pacifista che ha ripreso vigore. La causa del pacifismo oggi divide il mondo in due culture opposte, radicalizzate, per questo è necessario prendere posizione. Forse anche per questo motivo nel disco ho rispolverato la canzone Ruba che io non avevo mai cantato (ma Mia Martini sì, a mia insaputa, in una bella versione), dove mi sono scoperto di un pacifismo feroce. L'avevo scritta tra il '67 e il '68 dopo un viaggio in Irlanda che mi aveva molto impressionato per via della causa irredentista. Oggi l'ho attualizzata, sostituendo la parola Irlanda con Petrolio. Il pacifismo è un collante, ma i nostri politici non devono dimenticarsi che non c'è solo quello. Non dimentichiamoci degli obiettivi primari, del fatto ad esempio che il fagiolino in estate costa tantissimo.

Come ti pare stia ai tempi che corrono il mondo della cultura?

Bene. Ho amato molto gli ultimi film di Bellocchio e Bertolucci, mi hanno fatto ben sperare. Mi piace quando l'occhio di un regista, di un musicista, di un pittore, torna ad analizzare la storia, a risognare certa storia, a far rivivere un sogno, un ideale. Perché abbiamo dimenticato una cosa importante: il nostro scopo sulla terra è far sì che la realtà si avvicini sempre più al sogno.

Magari per questo può tornar utile anche una nuova forma di canzone politica?

Certo. I tempi sono cambiati. Negli Settanta il cantautore impegnato andava troppo sul particolare. Oggi la canzone politica deve tendere alla poesia. Con la poesia si arriva alla gente.

Nel disco compare anche una canzone dedicata a un partigiano, “Non c'è male”. Perché è importante ancora parlare di Resistenza?

E' una ballata rock che vedo bene suonata ad una festa dell'Unità. Nel testo il partigiano racconta ciò che ha vissuto a sua nipote. E' una realtà che pare favola, leggenda, ma che è drammaticamente vera. E' una piccola cosa per ricordare a chi oggi mistifica la realtà paragonando la Resistenza italiana al terrorismo che le due cose non hanno niente in comune. Pare banale, ma ci stiamo dimenticando della storia.

Si vendono pochi dischi. Di chi è la colpa?

Potrei scriversi sopra un manuale. Il sistema è vecchio, la distribuzione è lenta: faccio prima a scaricarmi il disco pirata o comprarlo dai ragazzi per la strada che me lo vendono ad un quinto del prezzo ufficiale. Avrei una proposta: dare i dischi in distribuzione a questi abusivi che vendono in strada, concedergli la licenza. Prenderemmo due piccioni con una fava: il loro lavoro uscirebbe dal sommerso e favorirebbe la circolazione della cultura musicale. A patto ovviamente che l'iva al 20% venga drasticamente abbassata.

Quando Venditti oggi scrive una nuova canzone, dopo trent'anni di carriera, cosa vuole cambiare?

Ho una grossa ambizione: rappresentare qualcosa nella storia degli altri. Ancora credo al senso della vita, sono un uomo...

Intervista di Silvia Boschero – L'UNITA' – 03/10/2003

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