Un
secco colpo di pistola di un sicario in una strada polverosa di
Mogadiscio e Vittoria Mezzogiorno, nel ruolo di Ilaria Alpi,
rannicchiata nel sedile posteriore del pick up viene assassinata.
Un momento prima una raffica ha freddato loperatore Miran
Hrovatin (è lattore Rade Sherbedgia). Si chiude
così, con giusta durezza, sul duplice omicidio della
giornalista Rai e del teleoperatore compiuto il 20 marzo 1994,
Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni: il film del 2003,
girato e sceneggiato da Ferdinando Vicentini Orgnani su un
mistero italiano ancora irrisolto, giovedì sera è
andato in onda su Raitre, richiamando oltre due milioni di
telespettatori, nonostante la diffida a trasmetterlo firmata dai
legali di Giancarlo Marocchino e Omar Mugne, citati nel film,
rispettivamente limprenditore italiano che viveva in
Somalia e accorse sul luogo dellagguato e il titolare di
una società di pesca, Shifco, sospettata di coinvolgimento
in un traffico di rifiuti tossici. È la storia bruciante,
recente e oscura del nostro Paese che si fa cinema ed
evidentemente fa paura a qualcuno mentre domani alla Camera
Casini consegna il premio intitolato allinviata della Rai e
alla giornalista del Corsera Maria Grazia Cutuli uccisa in
Afghanistan nel 2001. Ed è ancora la nostra storia che il
regista, già autore del film Mare largo del 98
tratto da un romanzo di Biamonti, si appresta a raccontare con
documentario sul 68.
Cominciamo
dal tentativo, per fortuna fallito, di bloccare la messa in onda
del film in tv. Vicentini Orgnani, largomento fa tanta
paura?
Già
a suo tempo fu richiesto il sequestro cautelativo della
pellicola, ma la querela che Marocchino presentò è
stata archiviata mentre Mugne ha chiesto un risarcimento danni,
un processo civile. Più che fare paura credo che il film
dia molto fastidio per il modo in cui ricostruisce la storia.
Questa non è gente che ha paura. Ho parlato al telefono
con Marocchino, che è persona simpatica e nella pellicola
viene dipinto in maniera tranquilla. Mugne so che è
persona colta, vive nello Yemen ed è sempre stato legato
alla gestione di pescherecci: dal suo punto di vista sono stati
usati a scopi benefici e commerciali legittimi, ma da appunti di
Ilaria ritrovati a Roma dopo la sua morte (quelli che aveva con
sé sono spariti) risulta che i pescherecci della Shifco
sulla quale la giornalista indagava venivano usati anche per
altri scopi, un gruppo della Somalia del nord aveva sequestrato
una nave e chiedeva un riscatto a Mugne.
Ha
mai ricevuto minacce o intimidazioni?
Io
no, solo querele, però ci furono problemi durante la
preparazione con i somali. Allinizio accorsero per
partecipare al film, poi sparirono e mi dissero di essere stati
minacciati. Inoltre nessuno voleva il ruolo dellautista di
Ilaria, testimone chiave, morto tre giorni dopo essere tornato in
Somalia. Dal mio punto di vista è stato gratificante
sentirmi dire dai genitori di Ilaria Alpi che il film li ha
aiutati a mettere ordine e forma in questo pasticcio.
Il
cinema italiano affronta faccende per così dire scomode?
A
mio giudizio oggi affronta poco la realtà e le storie da
indagare. E lo farà ancora meno perché non è
indipendente, è strutturato in un sistema produttivo che
dipende dalla volontà delle tv e della politica. Eppure
questo tipo di cinema è stato molto importante: pensiamo a
Petri, a Montaldo, a film-inchiesta come il Caso Mattei di Rosi
del 72, al fatto che un regista come Oliver Stone cita
questo cinema come suo riferimento.
E
ci sarebbero molte altre vicende irrisolte da raccontare.
Si
è raccontato Ustica, Giuseppe Ferrari ha girato un film
sullomicidio Calvi con Omero Antonutti... Quanto agli
argomenti in Italia cè solo limbarazzo della
scelta, ma il posto lasciato libero dallimpegno del cinema
è stato riempito dagli approfondimenti della tv.
Approfondimenti a volte eccellenti, un programma come Report
solitamente racconta fatti con grande qualità e
intelligenza, ma a volte superficiali, e penso a una trasmissione
di un anno fa sul cinema sempre di Report che era di
una superficialità da giornale parrocchiale.
Lei
ora cosa racconta?
Per
lIstituto Luce sto facendo un documentario sul 68 in
Italia: vorrei raccontarlo attraverso una quarantina di
testimonianze di protagonisti più o meno noti, e materiali
di repertorio, senza nessun filtro. Abbiamo già
intervistato Erri De Luca, che era della sinistra
extra-parlamentare, e Giulio Caradon, che era del Movimento
sociale, un fascista romano. Vorrei cercare di capire usando
punti di vista diversi, ma non so se sarà per la tv o il
cinema. Poi sto facendo e producendo un documentario su una serie
di concerti del jazzista Paolo Fresu con 26 musicisti sudafricani
a Durban, città dove agli inizi del 900 lAfrican
national congress invitò dei musicisti di colore a
insegnare jazz. Un documentario ha costi più bassi, si può
fare quasi da soli, rispetto al cinema classico permette maggiore
indipendenza economica, e quindi anche politica.
Intervista di Stefano
Miliani L'UNITA' 20/03/2005
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