Certo che mi
è capitato di non riuscire a sopportare una scena troppo
violenta e di andarmene dalla sala! L'ho fatto, quando è
troppo è troppo. A parlare così è
- da non crederci - Wes Craven, il re dell'horror, il creatore
del Freddie Krueger di Nightmare e della trilogia di
Scream. Wes Craven, tenetevi forte, è uscito
dalla sala quando ha assistito alla prima proiezione delle Iene
di Tarantino. Il fatto è che, secondo me,
Tarantino ci prendeva gusto a mettere in scena tutta quella
violenza. È stato quello, più che la violenza in
sé, a darmi fastidio. La cosa buffa è che Tarantino
era in sala fra il pubblico, mi ha visto uscire e mi ha seguito.
Ai tempi non era famoso. Vidi questo ragazzo magrolino fermarmi e
chiedermi perché stavo andando via, quando gli dissi che
era perché non sopportavo tutta quella violenza lui si ne
fu felicissimo. Si allontanò urlando: "È
fantastico! Wes Craven non ha il coraggio di vedere il mio
film!. L'occasione per raccontare l'episodio è
arrivata con la presentazione del remake di uno dei primi
successi del regista americano, Le colline hanno gli occhi,
del 1977. Di questo rifacimento Craven è stato
produttore esecutivo, mentre la regia è stata affidata ad
un giovane, il francese Alexandre Aja. La nuova versione
dell'horror uscirà in Italia il 12 maggio, senza grosse
differenze rispetto all'originale. Ho lasciato mano libera
ad Alex. Sono intervenuto solo in fase di montaggio, velocizzando
l'azione. Ne è venuto fuori un film ancora più
violento del mio. La storia è quella di una famiglia
che ha un incidente stradale in pieno deserto del New Mexico, in
una zona sede di esperimenti nucleari. Il luogo sembra disabitato
ma in realtà è popolato da creature deformi che si
nutrono degli sventurati che hanno la sfortuna di smarrirsi nella
zona.
Come
ebbe quell'idea 29 anni fa?
Scrissi
la sceneggiatura dopo aver sentito una storia allucinante, quella
della famiglia scozzese dei Sawnee Beane, vissuta nel Seicento,
che tendeva agguati ai viaggiatori di passaggio per ucciderli e
mangiarseli. Re Giacomo I di Scozia spedì quattrocento
soldati per scovare questa famiglia che, unendosi fra
consaguinei, era arrivata a contare quarantotto membri. Quando i
Sawnee Beane vennero catturati fu scoperta una vera e propria
caverna degli orrori e il re ordinò che venissero
giustiziati nelle stesso modo in cui avevano ucciso le loro
vittime.
Cosa
spinge un filmaker a raccontare certe storie? A mettere in scena
la paura e l'orrore?
La
paura è una delle emozioni più importanti che
l'uomo possa provare. La paura ci salva la vita. Facciamo i conti
con essa tutti i giorni, da quando nasciamo a quando moriamo. Ho
avuto molte paure nella mia vita. Ne ho avuta tanta quando è
morto mio padre e io avevo solo sei anni. Ora sono anziano, le
uniche paure che mi rimangono sono quelle della malattia, per me
e per i miei figli.
Qual
è il confine fra violenza cinematografica accettabile e
violenza inaccettabile?
Diventa
inaccettabile quando è gratuita. Nel mondo la violenza
c'è, che ci piaccia o meno. A me non piace, sia chiaro, ma
per affrontarla devo farci un film e in questo caso la violenza
che racconto è strumentale alla storia. Serve per
esplorare i motivi che spingono una persona normale a
trasformarsi in un essere brutale.
Il
suo prossimo progetto?
Qualcosa
di completamente diverso. Sto lavorando a Las Vegas per uno
spettacolo teatrale d'illusionismo insieme al mago irlandese Joe
Daly. Qualcosa che non avevo mai fatto prima e, sempre a
proposito di paure più o meno razionali, devo confessare
che la cosa mi spaventa un po.
Intervista di Francesca Gentile
L'UNITA' 13/04/2006
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